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102 paolo e virginia

spettatori e plaudenti alle opere immense della bontà sua? Chi lo costringe a far iscaturire l’umana vita soltanto là dove ella è destinata ad essere preda della morte? Non ha l’oceano una sola goccia d’acqua, in cui non vi siano viventi destinati ad essere a mano a mano trasfusi in noi per infinite strade ignote, e per noi non vi sarà stanza alcuna fra i cotanti astri che si aggirano sul nostro capo? E che! vorrem noi credere che la suprema intelligenza creatrice e la reggitrice bontà stiano ristrette nel cantuccio dell’universo dove siam noi? Ed in que’ globi raggianti e senza numero, in quei campi immensi di luce, non oscurata mai nè da notti nè da procelle, non vi sarà altro che uno spazio vano, un nulla eterno, infinito? Se noi, che niente abbiamo del nostro, volessimo così por limiti alla potenza dalla quale teniamo ogni cosa, potremmo anche pensare d’essere collocati sul confine del suo impero, dove la vita da lui donata è tolta dalla morte che da lui non dipende, e dove una straniera tirannia può, contro la volontà di lui, oppressare l’innocenza.

«Non è a dubitare dell’esistenza di un luogo dove abbia suo premio la virtù. Virginia è ora felice. Ah! se dal soggiorno degli angeli potesse farvi arrivar la sua voce, vi direbbe, come sulla rupe dell’Addio: O Paolo! La vita non è altro che una prova. Io sono stata giudicata fedele alle leggi della natura, dell’amore e della virtù; ho passati i mari per ubbidienza, ho rinunciate le ricchezze per guardare la fede dei miei giuramenti, ed ho voluto prima essere morta che violare il pudore. Il cielo ha pronunziato avere io sufficientemente adempiuto al mio debito. Io sono campata, e per sempre, dalla povertà, dalla calunnia, dalle tempeste, dalla vista penosa degli altrui patimenti. Niuno fra i tanti mali che dànno spavento agli uomini potrà aggiugnermi mai più, e voi mi commiserate? Son fatta pura ed immutabile come la luce, e voi mi vorreste ancora fra le tenebre di cotesta vostra vita? O Paolo, o mio caro! rammenta quei dì fortunati in cui sorgendo l’aurora noi godevamo quella soavità inesprimibile che veniva da un ciel sereno, ed in compagnia dei raggi del sole si spandeva intorno alle roccie, nei prati, nel seno dei boschi. Noi sentivamo allora un diletto grandissimo, e non sapevamo da che derivasse: