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parti, persuasi quelle due donne a trarle a sorte. Toccò la superiore alla signora De la Tour, l’altra a Margherita. Ambedue rimasero contente, ma mi pregarono di non dividerle quanto all’abitazione. «Vogliamo, dissero, vederci, parlarci e darci ajuto reciprocamente». Ad ogni modo era mestieri l’assegnare a ciascheduna un luogo appartato. La capanna di Margherita, posta in mezzo al bacino, veniva a trovarsi precisamente sul confine del suo terreno. Fabbricai ivi presso sulla possessione della signora De la Tour un’altra capanna, di modo che quelle due amiche rimasero unite, quantunque ognuna si stesse sul suo podere. Tagliai io stesso sul monte il legname, tolsi alla marina le foglie dei latanieri per la costruzione di queste due capanne, alle quali non rimane ora più nè tetto, nè porta. Aimè! che ne rimane anche troppo per la mia rimembranza! Il tempo, che sperde con tanta rapidità i monumenti degli imperi, pare che rispetti quelli dell’amicizia in questi deserti, per alimentare il mio dolore fin ch’io ci viva.

Era appena compiuta la seconda capanna, quando la signora De la Tour si sgravò di una bambina. Io era padrino del figliuolo di Margherita, il quale chiamavasi Paolo. La signora De la Tour mi pregò che lo fossi anche della sua bambina, e volle che in unione della sua amica le mettessimo il nome. Margherita la chiamò Virginia, e disse: «Ella sarà virtuosa, e sarà quindi felice. Io non ho conosciuto la sciagura se non quando mi sono allontanata dalla virtù.»

Quando la signora De la Tour uscì dai disagi del parto, queste due casette cominciarono un poco a pigliar piede, per le cure che io ci metteva a quando a quando, ma sopratutto in forza del lavoro indefesso di que’ due schiavi. Quello di Margherita, chiamato Domingo, era un moro di quelli che in Africa si chiamano Joloff, attempato alquanto, ma gagliardo ancora: mostrava avere della sperienza, ed era assennato naturalmente; aveva notato in ambedue le possessioni i terreni più adatti alla coltura e lavoravali senza distinzione, spargendovi le semenze opportune. Metteva miglio e grano turco dove il terreno era mediocre, ponea un po’ di frumento nel suolo buono, del riso nei fondi umidi, ed al piè delle roccie piantava citriuoli,