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116 al polo australe in velocipede


mendi congegni di distruzione, la cingeva a perdita di vista. Ai piedi di quell’enorme bastione messo a difesa del continente australe, si rizzava un vero caos di ice-bergs, di hummok, di banchi di ghiaccio e laggiù echeggiavano sorde detonazioni, s’udivano cupi brontolii prodotti forse dalle forti pressioni di quei giganti polari, poi scoppi violenti e scricchiolii prolungati.

Di tratto in tratto uno di quei monti, compresso dai vicini, perdeva l’equilibrio e piombava con orribile fracasso sui campi di ghiaccio, che sfondava coll’enorme suo peso. Altre volte invece era un masso di dimensioni colossali, del peso di parecchie centinaia di tonnellate, che si staccava dal bastione e si precipitava sopra quel caos di banchi e di ice-bergs.

Allora si frantumavano le punte delle montagne, scoppiavano i floe ed i palk, una voragine si apriva là in mezzo ed il mare schizzava fuori con impeto irresistibile, correndo in forma di un’alta ondata, frangendosi e rifrangendosi con lunghi muggiti fra tutti quegli ostacoli.

Wilkye, Linderman e il capitano erano assorti nella contemplazione di quello spettacolo, quando si udì Bisby a urlare:

— Aiuto!... Un orso marino!...

Tre colpi di fucile echeggiarono un istante dopo, formando una sola detonazione, seguiti dalla voce del mastro d’equipaggio che gridava:

— È preso!...

— Che cosa? chiesero Wilkye e Linderman.

— L’orso, rispose Bisby.

— No, signori, è un elefante marino, disse il mastro. Eccolo che torna a galla; ci fornirà una cena e quattro barili d’olio.

— Mettete una scialuppa in mare, comandò il capitano. L’olio è troppo prezioso in questa regione, per perderlo.