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122 al polo australe in velocipede


nella sua cabina quasi tutto il giorno, non uscendo che all’ora dei pasti. Voleva evitare nuovi attriti, oppure la vista di quella costa difesa da quei giganteschi bastioni di ghiaccio che non offrivano passaggio ad alcuna nave e che non accennavano a sciogliersi (quantunque la stagione fosse già avanzata) cominciava a preoccuparlo?

Forse questo era il vero motivo, poichè la sera del 27, mentre la Stella Polare stava per girare l’estrema punta della penisola, dirigendosi verso le isole Grosler, che si trovano quasi all’imboccatura dello stretto di Roosen, dopo di aver a lungo esitato, abbordò Wilkye che passeggiava sul ponte in compagnia di Bisby.

— Che ne dite di questo ritardo dello sgelo? gli chiese a bruciapelo.

— Nulla, signore, rispose l’americano.

— Non vi sorprende?

— No, poichè tutti gli altri esploratori australi hanno notato che in queste regioni lo sgelo non è mai completo, ma solamente parziale e di brevissima durata.

— Ma credete voi, che non si apra questa enorme muraglia di ghiaccio?

— Forse, quando saremo in piena estate, ma si rinchiuderà troppo presto.

— Se non si apre, dove passerà la mia nave?

— È affare che riguarda voi.

— Lo so, ma anche voi forse.

— Cosa importa a me che lo sgelo avvenga o no? Coi miei velocipedi posso avanzare sia attraverso ai ghiacci che alle nude terre, disse Wilkye.

— Sicchè voi non avete alcuna fiducia nel mio tentativo.

— Temo che i ghiacci vi arrestino ben presto.

— Avanzerò, dovessi sfracellare la mia nave e andare al polo a piedi.