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190 al polo australe in velocipede


batteva disperatamente contro un animale enorme che tentava di schiacciarlo col proprio peso e di stritolargli il capo fra le mascelle. Armò rapidamente il fucile e fece fuoco a sei passi di distanza.

L’animale, udendo la detonazione, fece un balzo indietro, poi stramazzò a terra come fosse stato colpito a morte, ma facendo uno sforzo supremo si rizzò sulle zampe posteriori e si precipitò addosso a Wilkye emettendo delle rauche urla.

Quella fiera del continente antartico, faceva davvero paura. Rassomigliava ad un orso, ma il suo corpo aveva dimensioni maggiori di quelli della regione artica, il suo muso era un po’ più allungato, i suoi occhi più grandi e feroci ed il suo pelo era lunghissimo e di colore bruno-rossiccio.

Ritto sulle zampe posteriori misurava almeno sette piedi d’altezza e poteva gareggiare col gigantesco orso grigio delle grandi Montagne Rocciose dell’America settentrionale.

Quantunque fosse stato ferito, poiché il sangue gli sgorgava dal petto arrossando il ghiaccio, in un lampo fu addosso a Wilkye, il quale si trovava inerme, mancandogli il tempo di aprire la cartucciera. L’intrepido americano però non si smarrì: afferrò il fucile per la canna e, servendosene a guisa di mazza, percosse furiosamente il muso della fiera, fracassandole una mascella.

Quel momento bastò. Blunt era già giunto e Peruschi si era prontamente alzato da terra col fucile in mano.

— Fatevi da parte, signor Wilkye, gridarono.

Echeggiarono due detonazioni: l’animale colpito da due altre palle s’arrestò, gettando un rauco urlo, girò su se stesso, poi piombò sul ghiaccio rimanendo perfettamente immobile.