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capitolo xxv. - le vittime del polo 243


attraversando burroni, colline e avvallamenti profondi, essendo il paese diventato molto accidentato.

A mezzodì, mentre attraversavano un altro braccio di mare, abbatterono un’altra foca che si era smarrita fra la neve, senza essere più capace di ritrovare il buco che aveva scavato nel ghiaccio. Stavano per precipitarsi sull’anfibio per finirlo a colpi di scure, avendo continuato a dibattersi malgrado fosse stato toccato da due palle, quando fra i ruggiti della bufera udirono una detonazione, che pareva prodotta da un’arma da fuoco.

— Avete udito? chiese Wilkye, mentre Blunt spaccava il cranio alla foca.

— Sì, disse Peruschi. Ho udito uno sparo.

— Che la spedizione inglese ci sia vicina? chiese Blunt.

— Da dove veniva quello sparo? chiese Wilkye a Peruschi.

— Mi parve che venisse dal nord-ovest, rispose il velocipedista.

— Dietro quelle alture?

— Sì, signore.

— Accorriamo, Blunt. Forse sono i nostri compagni della costa.

— Ed io? chiese Peruschi.

— Non affaticatevi; rimanete a guardia della lettiga e della foca.

Wilkye e Blunt, malgrado i nembi di neve che li assalivano da ogni parte, si slanciarono verso le alture che chiudevano la pianura dal nord-ovest, e in quindici minuti giunsero sulla cima.

— Un accampamento! esclamò Blunt.

— Oh Dio!... Accorriamo, disse Wilkye.