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256 al polo australe in velocipede


— Bisby!...

Quell’essere strano s’arrestò, sorpreso da quelle grida, poi riprese:

— To’!... Mi si conosce qui?... Che il vento del polo mi abbia sbalzato a Baltimòra?... Sarebbe un bel caso, in fede mia!...

— Bisby! ripetè Wilkye, precipitandosi innanzi. Amico mio, cosa fate qui?...

Il negoziante di carni salate, poichè era proprio lui, si piantò sulle gambe e levandosi un cappello alto ma che era incrostato di ghiaccio, disse:

— Buon giorno, signori, ma...

Cosa voleva dire? Non lo si potè mai sapere, poichè ad un tratto un formidabile grido gli uscì dalle labbra:

— Wilkye!... Ah! io sogno!...

— No, amico mio, sono io, rispose Wilkye, correndogli incontro. Voi non sognate.

— Voi!... Voi!...

— Sì, Bisby, io, ma come vi trovate qui?...

— Come?... Lo so io forse?... So però che muoio di fame, che sono coperto di ghiaccio, che la mia pelle di bisonte non mi serve più a nulla, che mi pare di essere ubbriaco e che sono in uno stato miserando: guardate!...

Il disgraziato non mentiva: dov’era Bisby, il futuro presidente della società degli uomini grassi di Chicago?... In quale stato era ridotto quell’uomo, che tre mesi prima era grosso come un elefante marino!...

Era scemato della metà, sparuto, smunto, col volto coperto di echimosi, con un occhio ammaccato che ancora sanguinava, colle vesti indurite dal gelo, colle uose sfondate, colle vesti strappate. Aveva in testa il suo cilindro, ma ormai ridotto in uno stato compassionevole, coperto d’uno strato di ghiaccio e indosso la sua famosa pelle