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i drammi della schiavitù 115


ponte, gettando urla di belve feroci, si scagliarono come una tromba contro il cassero, urtando con impeto irresistibile l’equipaggio.

Le detonazioni delle carabine echeggiano, le palle fischiano, le scuri e le sciabole fanno strage fra i negri, ma questi non arrestano lo slancio e investono i marinai cercando di abbatterli a colpi di manovella e di boscelli, di strappare a loro le armi, di tirarli giù dal cassero, e di gettarli in mare attraverso alle murate sfondate, di strangolarli colle mani e di dilaniarli coi denti. Uomini, donne e perfino i fanciulli lottano con furore senza pari: no, non vogliono morire soli sul legno affondante, non vogliono che l’equipaggio si salvi: vogliono che discenda assieme a loro, negli immensi baratri dell’Oceano.

Da una parte e dall’altra gli uomini cadono uniti in una stretta mortale; il sangue dei negri e il sangue dei bianchi scorre assieme pel ponte e si riversa nell’oceano attraverso agli ombrinali; le palle delle carabine e delle pistole fanno dei vuoti immensi; le armi tagliano nel vivo e spaccano teste, troncano membra, forano petti e dorsi, ma gli schiavi non cedono, nè la loro rabbia viene meno.

Quelli che cedono sono sostituiti da altri non meno feroci, non meno furiosi: dalla camera di prua e dal boccaporto di maestra, le cui sbarre sono state finalmente strappate da quelle braccia robuste, continuano a salire empiendo l’aria di urla sempre più tremende.

Una ecatombe sta per accadere: quei cinquecentocinquanta uomini sono sospesi sull’abisso che s’avanza incontro a loro: oppressi ed oppressori stanno per scendere assieme nei tenebrosi flutti dell’Atlantico.

L’acqua sale, sale sempre. Ormai ha invaso tutta la stiva, ha fatto la sua comparsa nel frapponte, si rovescia con lunghi muggiti attraverso agli sportelli delle batterie e fra poco si rovescerà sulla tolda. Già la Guadiana oscilla penosamente come un ubriaco e il suo ponte è quasi a livello della zattera; già scricchiola in più parti, come se non potesse più reggere l’enorme massa d’acqua racchiusa nei suoi fianchi. Ancora qualche minuto e sarebbe scesa, come prima di essa erano scesi l’incrociatore e il transatlantico sfondati dal suo sperone.

L’equipaggio atterrito vede che la morte si avanza a gran passi e fa un ultimo e disperato sforzo. Si raduna e si scaglia a sua volta contro i negri, ributtandoli a prua.

Il dottore approfitta di quell’istante di tregua per scendere nel quadro assieme a Vasco.