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i drammi della schiavitù 11

picarono sulle rocce e raggiunsero il mastro, che non aveva abbassata la carabina.

— Ah! Siete voi, figliuoli? — chiese a questi. — Si vegliava adunque al baracon?

— Vi aspettavamo, mastro Hurtado — rispose uno dei due negri.

— Come sta Bango?

— È più grasso che mai.

— Ne ho piacere — disse il mastro ironicamente. — Sono pronti gli schiavi?

— Sono nascosti nel bosco.

— Carico grosso?

— Cinquecento negri.

— E l’incrociatore? L’avete veduto voi?

— Sì, è venuto a ronzare dinanzi alla baia, tre giorni fa.

— Siete certi che non sia nascosto entro il Nazareth o l’Ogobai?

— Le nostre spie vegliano alle foci dei due fiumi e non l’hanno veduto.

— Che si sia proprio allontanato?

— Siamo certi di ciò; ma, se vi preme la pelle, non perdete tempo. Bango è inquieto e ha premura di lasciare la costa.

— E noi più di lui — disse il mastro. — Andate a dire al vostro re, che si tenga pronto, perché qui c’è odore di polvere e domani sera noi riprenderemo il largo.

— Vi avverto che Bango ha molta sete e che non ha più né tafià, né rhum di tratta.

— Abbiamo delle botti, da dare a quell’ubriacone. Andate: fra mezz’ora la Guadiana sarà qui.

I due negri ridiscesero le rocce, risalirono nella loro imbarcazione e s’allontanarono rapidamente.

Il mastro esaminò ancora attentamente l’orizzonte occidentale col lungo cannocchiale che portava a bandoliera, crollò due o tre volte la testa come se non fosse interamente sicuro del fatto suo, poi, volgendosi verso i marinai disse:

— Datemi lo specchio.

Un marinaio gli porse l’oggetto richiesto.

Il mastro guardò la luna che gli stava quasi di fronte, nella sua completa pienezza, inclinò leggermente lo specchio in modo che i raggi dell’astro si rifrangessero sul vetro, e lo fece brillare tre volte.

Dopo qualche minuto, ad una grande distanza, si vide innal-