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i drammi della schiavitù 155


Il bretone si limitò ad alzare le spalle.

– E di Seghira, cosa accadrà, povera ragazza? – riprese il portoghese.

Nemmeno questa volta il tenente rispose, ma un enigmatico sorriso gli sfiorò le labbra.

– Vedremo. – disse dopo qualche minuto, con accento misterioso.

– Cosa volete dire, signor Kardec?

– Lo so io, – rispose il bretone.

– Forse che sperate su qualche cosa?

– Può essere; d’altronde vi sono dei pescicani che nuotano intorno alla zattera e sono più grassi di ieri.

– Non vi comprendo, signor Kardec.

– Ma l’ho compreso io, – disse una voce.

– E in qual modo, signor Esteban? – chiese il bretone con leggera ironia, volgendosi verso il dottore che gli si era avvicinato.

– Volevate dire che i pescicani la scorsa notte hanno divorato una grossa preda.

– È probabile, ma ciò non vi riguarda.

– È vero, signor Kardec? Quell’Ovando poteva diventar pericoloso.

Kardec trasalì, ma poi crollando il capo disse:

– Se l’hanno gettato ai pescicani, non so cosa farci.

Poi traendo Esteban bruscamente da un lato, gli chiese a bruciapelo:

– Avete fame voi?

– Forse che avete qualche provvista nascosta? – chiese il dottore con meraviglia.

– È possibile anche questo.

– Voi dunque avete rubato i viveri?

– Che v’importa? – chiese ruvidamente Kardec.

– Sapete che potrei farvi appiccare?

– E quando l’avreste fatto, cosa avreste ottenuto?

– Avrei vendicato qualcuno, signor Kardec.

– Lasciate stare i morti, signor Esteban, – rispose il bretone seccamente. – Vi offro un patto: avete fame?

– A me solo?... E gli altri?

– Che s’impicchino!

– E perchè mi offrite dei viveri, mentre voi sapete che non vi sono stato mai amico?

– Perchè difenderete anche voi Seghira.

Il dottore lo guardò con un’ansietà impossibile a descriversi.