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i drammi della schiavitù 23


stone col pomo argentato, che doveva avere appartenuto a qualche capo-musica, completavano l’abbigliamento di quel monarca di negri, il quale per umettarsi la lingua in attesa di bagnarla col tafià del negriero, rosicchiava con visibile soddisfazione il suo ultimo pezzo di sapone color di rosa e profumato.

Alvaez, il mastro, ed una dozzina di marinai armati, non essendo cosa prudente sbarcare inermi fra quella tribù, che poteva giuocare un brutto tiro per impadronirsi della nave, con pochi colpi di remo attraversarono il fiume e sbarcarono ai piedi dei grandi baracon che si estendevano lungo la riva per un buon tratto, salutati da grida di gioia e da parecchi colpi di fucili sparati dalla scorta del re.

Bango si avanzò con molta gravità incontro al capitano e gli strinse la mano all’europea, poi prese dalle mani di mastro Hurtado una bottiglia del miglior tafià e la tracannò quasi tutta.

— È del migliore — disse, da uomo che se ne intende. — Senza di questa non sarei stato capace di parlare, capitano. Come stai?... E i tuoi uomini?... Mi hai portato molto tafià? Le mie cantine sono a secco e le mie donne hanno molta sete, sai. Sono tre lune che io ti aspetto e che sospiro un sorso di rhum e...

— Basta — disse Alvaez, ruvidamente. — Non sono sbarcato per udire le tue chiacchiere, Bango. I miei minuti sono contati e se non mi sbrigo, corro un grave pericolo.

— Un pericolo?

— Sì, due incrociatori mi aspettano per darmi la caccia.

Bango lasciò cadere la bottiglia e, la sua pelle, più nera di un sacco di carbone, divenne grigiastra, cioè pallidissima.

— Ma allora corro un grave pericolo anch’io — gemette. — E i miei gangas non me lo hanno detto!... Ne farò gettare due ai coccodrilli del fiume.

— Lascia in pace i tuoi stregoni ed ascoltami senza farmi perdere tempo. Quanti schiavi hai da consegnarmi?

— Cinquecentoventi.

— Ne volevo seicento.

— Vi aggiungerò ottanta sudditi.

— I tuoi sudditi sono poltroni come te e te li lascio. Bisogna che fra tre ore i tuoi schiavi siano sulla mia nave.

— È impossibile, capitano, combinare un così grosso affare fra tre ore. Non mi lasci nemmeno il tempo di vuotare una bottiglia di tafià.

— Se ti preme sbarazzarti dei tuoi schiavi, me li consegnerai senza tante discussioni.