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i drammi della schiavitù 41


– Ma sai che io andrò lontano, assai lontano, al di là dell’immenso oceano e che tu non rivedrai più mai la tua Africa, le tue foreste, i tuoi parenti, la tua capanna?...

– La schiava non ha patria.

Alvaez la guardò con profondo stupore. Quell’ostinazione lo sgomentava, e pareva che accrescesse in lui quella agitazione, che da qualche ora turbava il suo animo e il suo cervello.

– Ma vattene! – esclamò, quasi con rabbia.

– Perchè? – chiese la mulatta. – Non mi hai comperato tu?...

– Ma non comprendi tu che sei bella? – esclamò il negriero, con voce sorda. – Io non ti voglio sul mio legno, perchè tu mi fai paura!

– Io!... – esclamò ella, trasalendo.

– Tu – disse il negriero con maggior violenza. – Ho paura della tua bellezza e voglio esser libero io, m’intendi, donna?...

– Uccidimi allora: tu sei il padrone.

– Ucciderti!...

– Giacchè non vuoi che io sia la tua schiava, uccidimi.

– Sei pazza?...

– No, padrone – rispose la mulatta che lo fissava sempre, quasi volesse affascinarlo colla potenza dei suoi occhi.

– Ma non hai dei parenti tu?... Non hai una madre, non hai nessun legame che ti unisca al tuo paese?

– Nessuno: tutti sono morti, la mia capanna è stata distrutta, sono ormai sola al mondo.

– Ma chi era tuo padre?

– Un capo dell’alto Ogobai.

– Tua madre?

– Una donna bianca come te.

– Sono morti?...

– La guerra li ha spenti da lunghi anni.

– Ma la tua tribù?...

– Dispersa o fatta schiava. Dove vuoi che vada se non ho nessuno? Tu mi hai comperato e voglio seguirti.

– Vieni adunque, ma tu mi porterai sventura.

– Uccidimi: morrei felice uccisa da te.

– Perchè?

– Non lo so.

– Seguimi – disse bruscamente il negriero, che era ridiventato meditabondo e inquieto.

Il carico era stato terminato. L’equipaggio aveva già issate le scia-