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una cannonata sull’hoang-ho 89


Più che nebbie erano banchi di nuvole di spessore straordinario, a strati sovrapposti e di una bianchezza abbagliante, gravide però di pioggia.

Sulla valle l’acqua doveva cadere in gran copia, udendosi sotto l’aereotreno un crepitìo incessante.

Lo Sparviero, che si manteneva a un’altezza di settecento metri, ben presto si trovò in mezzo ai banchi, tuffando gli aereonauti fra le masse vaporose ed ora uscendone, non avendo quegli strati dovunque un eguale spessore.

Non si deve credere che le nuvole formino sempre delle masse compatte, come appaiono agli sguardi delle persone che si trovano in terra. Sovente formano dei veri banchi, di lunghezza e di larghezza considerevole, separati da leggieri strati d’aria più o meno vasti che lasciano cadere la pioggia sugli strati inferiori, senza lasciarla cadere fino a terra.

Se ne trovano a tremila e cinquecento metri d’altezza e a mille cinquecento, e perfino a soli duecento metri dalla superficie della terra.

Lo Sparviero, dopo essere scivolato fra quei banchi, tornò a rivedere il sole, passando sopra un nuovo gruppo di montagne che si dirigevano verso il sud-ovest.

I villaggi ricominciavano a comparire, circondati da campi coltivati con gran cura e da risaie sconfinate che terminavano in mezzo a paludi. Essendosi lo Sparviero abbassato fino a duecento metri, gli aeronauti scorgevano sovente dei contadini, i quali, come in altri luoghi, vedendo quel gigantesco uccello solcare l’atmosfera, fuggivano a rompicollo e si gettavano nei solchi, coprendosi perfino colle erbe e colla terra per paura di venire divorati da quella bestia che dovevano scambiare sempre per un terribile drago.

Intanto, panorami meravigliosi e sempre nuovi, si svolgevano dinanzi agli sguardi degli aereonauti.

Ora erano smaglianti praterie dove pascolavano miriadi di montoni; ora catene di colline coi fianchi coperti da foreste più che secolari e interrotte da valloni e da burroni dove scrosciavano o muggivano impetuosi corsi d’acqua; ora piantagioni superbe, divise in grandi quadri con cura meticolosa, dove crescevano gelsi, piante di cotone ed indaco; ora immense ortaglie che circondavano graziosi villaggi; di quando in quando qualche torre lanciava i suoi tetti arcuati e adorni di campanelli al disopra d’un fortino perduto sulle creste di qualche altura.