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120 capitolo quindicesimo


— L’avete veduto bene?

— Vagamente.

— Qualche leopardo delle nevi?

— Mi parve piuttosto un orso, capitano — disse Fedoro.

— È fuggito?

— Sì, — disse Rokoff.

— Perchè non avvertirci? Potevano essere più d’uno e assalirci.

— Avevamo dodici colpi.

— Signori miei, ammiro il vostro coraggio e sono ben lieto d’aver preso con me due uomini che non hanno paura. Ha guastato qualche cosa quell’animale?

— Non mi pare.

— E come ve ne siete accorto che il ponte era stato invaso?

— Ero ancora sveglio e ho udito qualcuno che cercava di arrampicarsi, — disse Rokoff.

— Gli orsi non sono rari nel Gobi, quantunque non molto pericolosi, se soli. Doveva essere un melanoleco<!— in altri punti del testo si trova "melaneco"— >, un plantigrado che si trova solamente nel Tibet e nella Mongolìa. Domani cercheremo di scovarlo. Andiamo a riprendere il nostro sonno; ritengo che dopo simile accoglienza non gli salterà più il ticchio di venire a passeggiare sul nostro Sparviero.


CAPITOLO XVI.

I leopardi dello Sciamo.

Non ostante le parole rassicuranti del capitano, Rokoff tardò molto a chiudere gli occhi, parendogli sempre di udire le unghie dell’orso contro la parete esterna del fuso.

Non fu che dopo la mezzanotte, quando il vento cominciava a scemare di violenza che, si decise a spegnere il lume e abbandonarsi fra le braccia di Morfeo.

Tutta la notte però non sognò che battaglioni di orsi accampati intorno al fuso, per impedire agli aeronauti di uscire e di riprendere il volo.

Quando i primi albori cominciarono a diffondersi nell’interno delle cabine, passando attraverso le grosse lenti di cristallo incastrate sui fianchi del fuso, il capitano svegliò il russo e il cosacco, gridando: