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l'inseguimento dei mongoli 131


— Cos’hai Rokoff.

— I mongoli accelerano la corsa e riprendono il fuoco.

— Sono ancora troppo lontani perchè le loro palle giungano fino qui.

— E noi siamo abbastanza vicini per fucilarli, — disse il capitano che li aveva raggiunti, portando tre splendidi remington. — Volete provare! Il bersaglio non è che a mille metri ed è molto visibile. A voi, signor Rokoff; i cosacchi sono, in generale, dei buoni tiratori.

— Cercherò di non smentire la loro fama, capitano. Mirerò il capofila, quello che monta quel cavalluccio morello che corre come un’antilope. L’uomo o l’animale?

— Il cavallo prima; d’altronde il mongolo a piedi è come il gaucho della pampa argentina. Non conta più, essendo un pessimo camminatore.

— Vediamo, — disse Rokoff.

S’appoggiò alla balaustrata di poppa, si piantò bene sulle gambe, poi abbassò lentamente il fucile mirando con grande attenzione.

L’arma rimase un momento ferma, tesa quasi orizzontalmente, poi uno sparo risuonò lungamente fra le collinette sabbiose del deserto.

Il cavallo morello s’impennò violentemente rizzandosi sulle gambe posteriori e scuotendo la testa all’impazzata, poi cadde di quarto, sbalzando a terra il cavaliere prima che questi avesse avuto il tempo di sbarazzare i piedi dalle staffe.

Altri tre cavalli che venivano dietro a corsa sfrenata, inciamparono nel caduto, stramazzando l’uno addosso all’altro e scavalcando gli uomini che li montavano.

— Ben preso, signor Rokoff, — disse il capitano. — Scommetterei un dollaro contro cento che la vostra palla ha colpito quell’animale in fronte. Vi ammiro.

— Tiro come un cosacco delle steppe, — rispose Rokoff, ridendo.

I mongoli, sorpresi e anche spaventati da quel colpo maestro, si erano arrestati intorno ai caduti urlando. La loro sosta fu brevissima.

Appena videro i compagni rialzarsi, ripartirono al galoppo, sparando e vociando.

— Ah! Non ne hanno abbastanza! — esclamò il capitano. — Vogliono farsi smontare? Sia! —