Pagina:Salgari - I figli dell'aria.djvu/248

Da Wikisource.
216 capitolo venticinquesimo


Il montanaro, vedendo gli ospiti lasciare intatta la carne cruda era rimasto un po’ confuso, però aveva subito accettata la parte che il capitano gli offriva, gettandosi avidamente sul pezzo di pudding e sulle gallette e guardando cogli occhi accesi i pezzetti di zucchero.

— Io conosco quei pezzi di pietra, — disse. — Gli uomini bianchi che sono passati per di qua molti anni or sono, me ne hanno fatto assaggiare.

— To’! Li chiama pezzi di pietra! — esclamò Rokoff, dopo aver udita la traduzione. — A te, mio caro selvaggio, addolcisciti la bocca; poi te la riscalderai col ginepro. —

Terminato il pasto il capo, che era diventato molto loquace dopo parecchi bicchieri della forte bevanda, spiegò al capitano che erano caduti in una profonda vallata racchiusa fra montagne tagliate a picco, che aveva una sola uscita verso il Ruysbruck, il più alto ed imponente picco dei Crevaux e che il suo villaggio si componeva di sessanta famiglie di pastori.

Si dimostrava però sempre curioso di sapere in qual modo erano caduti da una così spaventevole altezza senza fracassarsi le ossa e di sapere che cosa era quella massa enorme che aveva schiacciata una capanna.

La spiegazione fu laboriosa ma senza successo, non avendo quel Tibetano mai udito parlare nè di palloni, nè di macchine volanti e tanto meno di uomini che viaggiavano fra le nubi.

— Se è vero quello che tu mi racconti, — concluse il montanaro — tu devi essere l’uomo più potente della terra. Finchè però non ti vedrò volare come le aquile, non ti crederò mai, perchè solo Budda potrebbe tentare una simile cosa. —

Volle in seguito vedere i fucili degli aeronauti senza poter comprendere come facessero fuoco non avendo la miccia.

Gli sguardi d’ardente cupidigia che lanciava su quelle armi erano tali da impressionare il capitano.

— Finirà per chiedercele, — disse a Rokoff ed a Fedoro. — Noi però non gliele daremo. Si accontenti del suo moschettone a miccia. —

Dopo un paio d’ore lasciarono la capanna, non fidandosi di dormire in compagnia del capo.

Il nebbione non si era ancora alzato e la neve cadeva abbondante anche nel vallone.

Il macchinista e lo sconosciuto per riparare il ponte del fuso, avevano in quel frattempo tesa una immensa tenda di tela cerata