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272 | capitolo trentesimo |
All’estremità s’aprivano due porte che pareva mettessero in altre sale o in altre stanze. Un dolce tepore regnava là dentro, non ostante la vastità dell’ambiente.
— Il vostro appartamento, — disse uno dei quattro monaci, in lingua cinese. — Tutto quello che potrete desiderare vi sarà recato; basta battere il gong sospeso alla porta.
— Una bella prigione, — disse Fedoro, volgendosi verso Rokoff, mentre i monaci uscivano.
— Una prigione! — esclamò il cosacco. — Come! Questi bricconi osano mettere in gabbia degli uomini scesi dal cielo?
— Faranno di più, mio povero Rokoff.
— Che cosa vuoi dire?
— Che noi stiamo per diventare dei Budda viventi.
— Ne so meno di prima.
— Non hai mai udito parlare dei Budda che vivono?
— Niente affatto, Fedoro. Mi spiegherai ciò dopo colazione. L’aria del lago mi ha messo indosso un appetito indiavolato. Non so più dove sia andata a finire la cena che ci ha offerto l’altro monaco.
— Tu scherzi?
— Vorresti vedermi piangere?
— Rokoff la va male.
— Perchè vogliono fare di noi dei Budda viventi? Se così fa piacere a loro, lasciali fare amico mio. Purchè non ci impalino o non ci gettino in qualche cantina piena di scorpioni, non vi è motivo di spaventarci.
— Non sai tu che cosa sono i Budda...?
— Persone che mangiano e bevono al pari di tutti gli altri mortali, a quanto suppongo.
— Se non vengono strangolati.
— Eh! Che cosa dici, Fedoro? Vuoi guastarmi l’appetito?
— Non ne ho alcun desiderio. E poi, come me la caverò colla predica che devo tenere ai fedeli? Io che conosco così poco la religione buddista! Sarà una catastrofe completa.
— Dimmi, Fedoro, credi tu che quel monaco barbuto abbia prestato cieca fede a quanto noi abbiamo narrato?
— Uhm! Ho i miei dubbi. Non deve essere così sciocco la Perla dei sapienti.
— E perchè non ci ha scacciati come impostori?
— Non avrebbe guadagnato nulla, mentre presentandoci come figli del cielo attirerà al suo monastero migliaia e migliaia di pellegrini.