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attraverso il butan 321


In cinque minuti, undici lupi giacevano attorno all’albero, massacrati dai grossi proiettili della carabina express.

— Rimangono ancora cinque dozzine, — disse il capitano.

— E ne giungono altre due o tre, — disse Rokoff, con accento scoraggiato. — Quelli che erano partiti urlando al largo tornano con nuovi rinforzi.

— Che questa foresta sia piena di bighana?

— Pare che sia così, capitano. E l’orso?

— Si è tranquillizzato e non l’odo più a muoversi.

— Che sia morto?

— Sarebbe caduto.

— Salutiamo i nuovi arrivati, — disse Rokoff.

Aveva ripreso il fuoco, mirando in mezzo ai gruppi e senza mai mancare al bersaglio. I bighana però non accennavano a volersi ritirare, quantunque vedessero aumentare i morti. Avevano tuttavia compreso che rimanendo così uniti offrivano un bersaglio troppo facile e si erano dispersi fra i cespugli, senza però allontanarsi troppo dalla pianta.

— Il tiro a segno comincia ad andare male, — disse Rokoff, dopo aver sprecato cinque o sei palle. — Rimarremo senza cartucce prima di averli distrutti.

— Me ne sono accorto, — disse il capitano.

— Devo continuare?

— Sì, signor Rokoff. I nostri compagni, udendo questi continui spari, s’immagineranno che noi corriamo qualche pericolo e verranno di certo in nostro soccorso. Non siamo lontani più d’un chilometro dallo Sparviero e le detonazioni giungeranno distinte fino al fuso. Ah! Udite? —

Uno sparo si era udito in quel momento in direzione del piccolo altipiano.

— È uno Snider, — disse il capitano. — Signor Rokoff, rispondete. —

Il cosacco scaricò la carabina facendo cadere un altro lupo. Un istante dopo un altro sparo echeggiava verso lo Sparviero.

— Continuate il fuoco senza interruzione, — disse il capitano. — Ormai i nostri compagni hanno compreso che noi abbiamo bisogno d’aiuti.

— E non li assaliranno i lupi? — chiese Rokoff.

— Ci siamo anche noi, e cinque uomini bene armati possono tener testa a quei piccoli predoni. —

Rokoff riprese a sparare senza far risparmio di cartuccie.