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36 capitolo quarto


Avevano udito dei gemiti sordi e strazianti, che parevano provenire dal cortile.

— Si tortura anche presso di noi? — chiese Rokoff.

S’avvicinò al pertugio guardando al di fuori, e subito retrocesse, pallido come un cadavere.

— Guarda, Fedoro — disse con voce soffocata. — Che cosa fanno subire a quei miseri?... L’orrore mi agghiaccia il sangue. —


CAPITOLO V.

Gli orrori delle carceri cinesi.

Fedoro, quantunque provasse una sensazione non meno terrificante, spinto da una viva curiosità, si era approssimato al pertugio, il quale, trovandosi solamente a un metro e mezzo dal suolo, permetteva di vedere al di fuori senza dover arrampicarsi.

Non metteva veramente su un cortile, bensì sotto una immensa tettoia, il cui pavimento era formato da un tavolato crivellato di buchi.

Cinque o sei esseri umani, che parevano già agonizzanti, cogli occhi schizzanti dalle orbite, pallidi come se tutto il sangue avesse abbandonato i loro corpi, si contorcevano disperatamente, mandando lugubri lamenti.

Non si vedevano che i loro tronchi, avendo le gambe, fino alle cosce, nascoste entro il tavolato, in quei buchi che già Fedoro aveva notati.

Alcuni aguzzini seminudi, veri tipi di carnefici, si sforzavano di far inghiottire ai martirizzati un po’ di riso e qualche sorso di samsciù, specie di acquavite estratta dal miglio.

— Ah! Infami! — esclamò Fedoro, rabbrividendo. — Quale spaventevole tortura!... Uccideteli piuttosto di tormentare così quei disgraziati.

— Che cosa stanno facendo quei mostri? — chiese Rokoff, additando gli aguzzini.

— Cercano di prolungare l’agonia alle loro vittime.

— E quale spaventevole supplizio subiscono quei miseri? Forse che stritolano lentamente le loro gambe?

— Peggio ancora, Rokoff. Io ho udito parlare di questa atroce tortura e non vi avevo creduto, tanto mi pareva inverosimile.