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110 emilio salgari


nella grande foresta, forse più folta sì, ma dove l’aria almeno poteva circolare più liberamente.

Il soldato e l’olandese, estenuati da quella lotta contro quei molteplici ostacoli, s’arrestarono.

– Abbiamo percorso almeno quattro miglia – disse Held, tergendosi il copioso sudore che inondavagli la fronte. – Sono certo che, in mezzo a questo caos di vegetali, quei furfanti non potrebbero mai trovarci, se a loro saltasse il ticchio d’inseguirci.

– Riposiamoci qualche ora, signor Held – disse Amely. – Dopo ci rimetteremo in marcia.

– Cerchiamo prima un po’ d’acqua – disse il soldato. – Io sono assetato.

– Temo che sia un po’ difficile trovarne – rispose Held – però cercheremo di avere un liquido. To'!... Ecco là degli alberi che fanno per noi.

– Un albero che ci darà dell’acqua? – esclamarono Amely e Dik.

– E zuccherata – aggiunse l’olandese. – Avete un recipiente qualunque?

– Ho un bicchiere di cuoio – disse il soldato.

– Seguitemi.

Egli si diresse verso una specie di palma adorna di grandi foglie piumate e che portava delle frutta riunite in grossi racemi. Afferrò la scure e fece sul tronco, presso un nodo, una incisione profonda; tosto un liquido chiaro e limpido sgorgò, raccogliendosi nella tazza di cuoio che il soldato teneva sotto quella ferita.

Quel liquido però scendeva lentamente e ci vollero non meno di dieci minuti prima che la tazza fosse piena.

– A voi, signorina – disse il siciliano porgendola ad Amely.

La giovinetta l’accostò alle labbra e la sorseggiò.

– Ma è acqua dolcissima, zuccherata – diss’ella.

– Sì – rispose Held, sorridendo.

– Ma che pianta è questa?

– Una palma preziosissima, che chiamasi arenga saccarifera, molto diffusa in tutte le isole dell’arcipelago della Sonda. Incisa in uno qualunque dei suoi nodi, dà questo liquido assai zuccherino che i malesi chiamano toddy. Ne produce circa un litro al giorno, e fatto bollire finchè diventa sciroppo e poi, versato entro vasi, si converte in