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8 emilio salgari


Questo dialogo avveniva la notte del 21 agosto 1872, a settanta miglia dall’isola di Tawi-Tawi, la prima dell’arcipelago di Sulù ed a dieci dalla costa settentrionale della grande isola di Borneo, all’uscita del mare di Sulù.

La nave che portava quegli uomini fra le onde tumultuose, che un vento furioso sollevava, era una vera carcassa che si reggeva a malapena alla superficie. Stazzava dalle tre alle quattrocento tonnellate: la sua prua era tagliata ad angolo retto, ma il ponte non aveva più la graziosa incurvatura delle solite navi, e cioè indicava che la sua chiglia doveva aver ceduto per l’età e pei troppo numerosi viaggi.

Le sue murate semi-sfondate, i suoi fianchi rientrati, i suoi due alberi già privi d’una parte delle manovre, indicavano che quel legno avrebbe ormai dovuto rifugiarsi, e per sempre, in fondo ad un cantiere, in attesa d’una completa demolizione. Perfino le sue ruote erano in disordine, sgangherate, mancanti di alcune pale; la macchina, forse recentemente riparata, era la sola che ancora funzionasse bene.

Infatti, malgrado le ondate continue, spingeva innanzi quell’ammasso di legnami e di ferramenta, tenuti insieme per un vero miracolo, con una celerità sorprendente. Doveva filare ancora i suoi sei o sette nodi all’ora.

Colui che si faceva chiamare O’Paddy si era collocato alla ribolla del timone insieme al suo compagno.

I loro sguardi, che avevano degli strani bagliori, parevano che volessero forare le cupe tenebre addensate sul mare. Si fissavano con ansietà sui tre punti luminosi che ora apparivano sulla fosca linea dell’orizzonte e ora si celavano dietro alle montagne d’acqua.

Il battello a vapore correva allora diritto verso l’isola di Tawi-Tawi, la cui massa imponente giganteggiava verso il nord-est. S’affaticava però assai, con quel mare sollevato dalla bufera.

S’alzava penosamente sulle onde, tentennando come un ubbriaco, perdendo ora un pezzo di murata ed ora un pezzo del coronamento; s’inabissava pesantemente negli avvallamenti con mille scricchiolìi e mille gemiti ed ora si rovesciava violentemente sul tribordo o sul babordo, tuffando nel seno delle acque spumanti le sue grandi ruote.

Pareva da un istante all’altro quella carcassa dovesse aprirsi per metà e affondare per sempre nei baratri di quel triste mare.

O’Paddy però, fermo alla barra del timone che stringeva con suprema energia, non cedeva d’una linea all’assalto brutale delle onde.