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i naufragatori dell'«oregon» 143


cacciarsi in mezzo ad un fitto bosco. Il soldato rischiava di farsi sfracellare dai rami bassi degli alberi o sfondare il cranio dai rotang.

– Tuoni!... – esclamò.

Tenendosi sempre aggrappato alle pieghe e stringendo convulsivamente le gambe, si distese sul corpo dell’animale ed attese, in preda ad una viva inquietudine.

Il rinoceronte fuggiva sempre precipitando la corsa. Cogli occhi schizzanti dalle orbite, la gola sbarrata, il corno teso innanzi, pronto ad atterrare tutti gli ostacoli, i fianchi frementi, si scagliava innanzi come se fosse impazzito.

Entrò nella foresta sfondando con un urto irresistibile i cespugli ed i rotang, fracassando i rami che incontrava sul suo passaggio, urtando contro gli alberi, spezzando di colpo quelli minori coll’impeto della propria massa. Pareva un ariete mosso da una forza incalcolabile, una palla di cannone di dimensioni enormi.

Il soldato sentiva cadersi addosso foglie, rami, liane, ma non abbandonava quella strana cavalcatura. Si aggrappava sempre più, con disperata energia, cercando di non offrire nessuna presa a tutti quegli ostacoli. Ad un tratto provò un acuto dolore: un ramo spinoso, rimbalzando, gli aveva strappato un lembo di casacca lacerandogli la pelle delle spalle. Gettò un urlo.

– Tuoni!... Mi scortica vivo!...

Quasi nel medesimo istante echeggiò una fragorosa detonazione. Il rinoceronte, colpito senza dubbio in uno dei suoi punti vulnerabili, forse in un occhio, s’arrestò di colpo, piantando il corno nel tronco d’un enorme durion. Il soldato, proiettato dalla spinta, piroettò due volte nell’aria e andò a cadere quattro metri più innanzi, in mezzo ad un cespuglio foltissimo che lo preservò da un urto forse mortale.

– Bel colpo!... – esclamò una voce tranquilla. – È vero, soldato mio?

Il siciliano aveva abbandonato precipitosamente il cespuglio e si guardava intorno, non potendo credere ancora a tanta fortuna. Dinanzi a lui stava il rinoceronte col corno ancora infisso nell’albero e già alle prese colla morte. A venticinque passi, presso un grande banano, stava un uomo, il quale caricava flemmaticamente la sua carabina, che lo aveva così bene servito in quel supremo istante.

Un grido di stupore irruppe dalle labbra del siciliano.

– Voi, signor O’Paddy!... – esclamò.