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i naufragatori dell'«oregon» 157

CAPITOLO XIX.

I traditori si svelano.


Nei giorni seguenti il piccolo drappello continuò a marciare attraverso a quelle grandi boscaglie aprendosi faticosamente il passo fra quei giganteschi macchioni di banani, di mangostani, di arenghe saccarifere, di cavoli caraibi, di artocarpi, di sagù, di manghi, di tek, di cedri, di bambù, di nipa, di piper betel, di arecche, di liane e di bambù di ogni specie, abbattendo qualche uccello o qualche piccolo mammifero, o qualche babirussa per la cena o per la colazione.

Avevano già attraversati parecchi fiumicelli pullulanti di enormi serpenti d’acqua e di orridi coccodrilli chiamati laggiù gaviali ed anche il Tananduriam, ragguardevole corso d’acqua, che dopo un giro tortuosissimo si versa nella profonda baia di Papan-Durian.

Non dovevano distare che tre o quattro giornate da Semmeridan, la città tanto sospirata da tutti, ma per ben diversi motivi, quando, l’ottavo giorno, un avvenimento inatteso minacciò di far naufragare le speranze dell’irlandese e dei suoi compagni.

Si erano assisi ai piedi di un’altura, ultimo contrafforte dei monti Kaniungan, in mezzo ad una fitta foresta popolata da numerose truppe di scimmie verdi, quadrumani che nel viso somigliano all’uomo, che vivono in bande grosse e che amano la vicinanza delle acque, quando giunsero ai loro orecchi delle grida lontane.

Sapendo di essere ancora lontani dalle rive del Koti, le cui acque bagnano Semmeridan e non ignorando che le foreste di quell’isola sono popolate da tribù ferocissime, si erano alzati come un solo uomo, colle armi in pugno.

– Che ci siano dei Dayaki in questi dintorni? – chiese Held, con viva inquietudine a O’Paddy, che era diventato leggermente pallido.