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168 emilio salgari


si era messo in mezzo ad una folta macchia, a pochi passi da loro ed aveva armato risolutamente la sua piccola carabina a due colpi.

– Non facciamo fuoco che all’ultimo momento – disse l’olandese. – Forse questi Dayachi non sono così cattivi come si crede e so che temono gli europei.

– È vero, signore, e mi pare che non abbiano molta fretta ad assalirci – disse il soldato.

– Temono assai le armi da fuoco.

– Buono!...

– Essi credono che i proiettili, una volta partiti, li inseguano dappertutto. Ecco perchè non osano avanzarsi.

I Dayachi si erano arrestati. Giravano gli occhi verso le macchie vicine come se temessero di venire a loro volta sorpresi, poi guardavano l’olandese, il marinaio e Dik, ma senza far uso delle loro frecce avvelenate, nè pronunciare parola.

– Cosa attendono? – chiese il soldato, che tormentava il grilletto della sua carabina.

– Non lo so.

– Dei rinforzi, forse?...

– È probabile.

– Tuoni!... Signor Held, me la vedo brutta!

– Non disperiamo. Mi hanno detto che i Dayachi sono vendicativi, ma ospitali. Noi non abbiamo fatto alcun male a loro.

– Mi spiacerebbe lasciar qui la mia zucca, signor Held.

– Vi credo.

– Canaglia di O’Paddy!...

– Zitto!... Odo un gong a suonare.

– Hanno i gong come i Chinesi ed i Malesi, questi selvaggi?

– Sì, Lando.

– È un’orchestra che s’avanza, signore. Dzin!... Bum!... Dzin!... Dzin!... Che ci suonino la marcia funebre?...

Verso la foresta si udivano a echeggiare parecchi gong, che sono grandi dischi di metallo tenuti sospesi e che percossi producono un rumore assordante, con delle vibrazioni lunghissime.

I Dayachi si erano ritirati lentamente, pur non perdendo di vista i naufraghi, ed erano andati a schierarsi sul margine della grande macchia, senza fare alcun atto ostile.

Poco dopo l’olandese e il soldato videro avanzarsi parecchi altri