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i naufragatori dell'«oregon» 187


– Mi basta uno per attirare la tigre. Il sole comincia già a nascondersi dietro le foreste; facciamo i nostri preparativi. Quando la luna sorgerà, ci troveremo a posto.

CAPITOLO XXII.

Il mangiatore d’uomini


Due ore dopo l’olandese, il siciliano e Sulinari lasciavano il kampong per cacciare la tigre, che i superstiziosi Dayachi dicevano essere invincibile perchè protetta da Antu e da Buan, i due cattivi geni delle foreste.

I due uomini bianchi erano armati di carabina e di scure ed il dayaco d’un pesante parang-ilang e d’una cerbottana, una specie di canna di legno duro, trapanata con grande precisione con un ferro del diametro di un centimetro, lunga un metro e quaranta centimetri, rivestita di fibre di rotang e munita all’estremità d’un ferro di lancia.

Queste armi, chiamate sumpitan, sono formidabili poichè soffiandovi dentro, i Dayachi mandano, a quaranta ed anche a cinquanta metri di distanza, una freccia lunga quindici o venti centimetri, colla punta avvelenata nel succo dell’upas e con una infallibilità meravigliosa. Oltre le armi, Sulinari si tirava dietro, con una corda, un piccolo babirussa, che doveva servire d’esca alla feroce abitatrice delle selve.

Il sole era già tramontato, ma dietro ai grandi alberi cominciava a far capolino la luna, la quale s’alzava rosseggiante come un disco di metallo infuocato.

Gli uccelli tacevano, ma si udiva ancora qualche grido isolato emesso da qualche semiaang (hylobatas synalactylus), quadrumane notturno, che per lo più vive in truppe numerose, le quali al tramonto si radunano per devastare le terre coltivate.

I tre cacciatori costeggiarono per qualche tempo la riva destra della palude, poi, giunti presso l’estremità del bacino, Sulinari s’arrestò, tendendo gli orecchi con grande cura.