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i naufragatori dell'«oregon» 197


I dayachi della scorta, pratici della foresta, trovarono ben presto un sentiero che doveva condurli fino al Koti e precisamente alla foce del fiume, senza perdere un tempo lunghissimo per aprirsi una via attraverso a quei grandi vegetali. Il primo giorno di marcia fu rapidissimo, essendo quei selvaggi abituati a camminare a passo accelerato, e nulla accadde di straordinario.

Alla sera s’accamparono attorno ad un albero isolato, accendendo numerosi fuochi per tenere lontano le fiere, sotto la guardia di quattro guerrieri che si rinnovavano di tre in tre ore.

Il giorno seguente, ai primi albori, riprendevano le mosse mantenendo la direzione verso il sud-est, inoltrandosi attraverso a foreste che dovevano essere antiche quasi quanto la creazione del mondo. Il sentiero a volte scompariva sotto l’invasione incessante di nuovi vegetali, ma i dayachi lo riaprivano facilmente coi loro pesanti e taglientissimi parangs.

Avevano già percorso venti miglia senza prendere un istante di riposo, quando il comandante della scorta, che camminava alla testa del drappello, s’arrestò bruscamente, dicendo:

– Alto!...

– Cosa succede?... – chiese Held, raggiungendolo.

– Ho veduto un’ombra passare rapida sotto quel fitto macchione.

– Un animale forse?...

– No, un uomo.

– Sei ben certo?...

– Malù non s’inganna mai.

– Che sia O’Paddy?... – chiese il siciliano. – Non so il perchè, quell’uomo mi torna sempre in mente.

– Dimmi, Malù – disse Held, rivolgendosi al capo della scorta. – Era un uomo bianco od un malese?...

– È passato troppo rapido per poterlo distinguere, ma credo che fosse un uomo di colore.

– Vi sono tribù di Kayon in questi dintorni?

– No, le abbiamo distrutte tutte.

– Nemmeno di Biagiassi, o di Idaasci, o di Marutti, o di Alfurassi?

– No, questo è il territorio dei Bughisi, ma quegli uomini non lasciano le rive del Koti.