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– Che farà ritardare i soccorsi – aggiunse l’olandese.

– E non abbiamo che due fucili.

– Tre – corresse Dik, che ascoltava i loro discorsi.

– È vero, signor Dik – disse il soldato sorridendo. – Mi ero dimenticato di voi.

– E ci sarebbe stato anche il mio, se il mias non lo avesse ridotto inservibile – disse Amely, che si trovava seduta presso di loro.

– Curerai i feriti, Amely. Sarai l’infermiera del campo.

– Volentieri, signor Held.

– Tuona... – disse il soldato.

– E gocciola – aggiunse Dik.

– Ripariamoci sotto il durion – disse l’olandese.

L’uragano stava per scoppiare. La vôlta celeste si era rapidamente coperta di dense nubi di colore oscuro, coi margini tinti di rame, e violente raffiche cominciavano a scuotere la foresta, facendo curvare le più alte cime degli alberi.

In lontananza rullava il tuono e larghe gocce cadevano, crepitando sul fogliame.

I quattro naufraghi si erano riparati sotto il durion ed i Dayachi si erano accovacciati dietro le trincee, per poter meglio sorvegliare la foresta che diventava rapidamente oscurissima.

Ad un tratto si udì echeggiare un grido stridulo che si avrebbe potuto scambiare per quello d’un tucano. Malù, che stava sdraiato dietro alla trincea, alzò vivamente il capo, gettando sotto le cupe fronde della foresta un lungo sguardo.

– Cos’hai, Malù? – chiese Held, che aveva notato quella mossa.

– Non avete udito questo segnale? – chiese il dayaco.

– Non era il grido di un tucano?

– No.

– Sei certo?

– Gli orecchi di Malù non s’ingannano.

– Annuncia l’avvicinarsi dei nemici?

– Sì.

In quell’istante un lampo abbagliante ruppe le tenebre, illuminando la foresta.

Per quanto fosse stato rapido, Malù e l’olandese scorsero parecchi uomini che s’avanzavano, strisciando fra i cespugli.

– Il nemico!... – gridò Held.