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i naufragatori dell'«oregon» 221


– Tu, Kara-Olo, seguici e voi altri circondate la casa e impedite la fuga a tutti. Venite, amici.

Mentre i Dayachi, guidati da Malù, s’affrettavano a obbedire, l’olandese, seguìto dal soldato, dal capo, da Amely e da Dik, entravano nell’abitazione preceduti dall’intendente.

– Il signor Wan-Baer è in questa sala – disse quest’ultimo, arrestandosi dinanzi ad una porta.

– Fermatevi qui – disse l’olandese ad Amely ed a Dik. – Quell’uomo può essere armato e lasciarsi trasportare a qualche tentativo disperato.

Poi aprì la porta ed entrò in una sala ammobigliata con gusto squisito ed illuminata splendidamente. Wan-Baer stava comodamente seduto dinanzi ad una tavola riccamente imbandita e mangiava col miglior appetito che immaginare si possa, coll’appetito d’un uomo che ha la coscienza tranquilla ed una cinquantina di milioni in tasca.

– Buona sera, signor Wan-Baer – disse Held, scoprendosi il capo. – Pare che l’aria di Timor vi faccia molto bene.

Udendo quella voce beffarda, il negoziante ed armatore di Manilla aveva lasciato cadere il bicchiere colmo di vino delizioso, che stava per accostare alle labbra. Si alzò di scatto, la sua faccia rossa impallidì orribilmente ed indietreggiò fino alla parete, fissando sull’ex-ufficiale due occhi smarriti.

– Un’apparizione!... – balbettò coi denti stretti e con profondo terrore.

– No, signor Wan-Baer, solamente i vivi ritornano.

– E per torcervi il collo – aggiunse il siciliano.

– Sogno io?... – balbettò il miserabile, appoggiandosi alla parete. – Xin...thal... aiu...to!...

– È inutile che chiamiate aiuto, signor Wan-Baer – proseguì l’ex-ufficiale. – I nostri uomini hanno circondato la casa e vi avverto che sono quei selvaggi del Borneo, che i nostri compatrioti di Pontianak chiamano koppens-kueller e che sono pronti a tagliare delle teste.

– Compresa la vostra – disse Landò.

– Ma dunque... l’Oregon?...

– Non è andato a picco, malgrado la speronata del vostro complice.

– Ah!... Voi sapete questo?...