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mo ottenere da lui un piccolo veliero e raggiungere i possedimenti dei vostri compatrioti e fors’anche Timor.

– E non possiamo noi costruire una scialuppa coi rottami dell'Oregon, e tentare, costeggiando, di giungere ai possedimenti olandesi? – chiese il marinaio.

– Perderemo un tempo lunghissimo e poi ci lascierà tranquilli il mare? – disse O’Paddy. – Senza contare poi che i pirati potrebbero darci addosso e farci prigionieri o massacrarci.

– È lontana questa Semmeridam? – chiese Amely.

– Duecento miglia, signorina.

– Una marcia lunghissima.

– Ma che, sorella mia, una passeggiata! – disse Dik.

– Ha fegato il piccino! – mormorò O’Paddy, aggrottando la fronte.

– Ed è lontana dal mare? – chiese Held.

– Venti leghe dalla foce del Koti – rispose l’irlandese.

– Ma come sbarcheremo?

– Costruiremo una zattera, o cercheremo di accomodare la grande scialuppa. Aier-Raja è un abile carpentiere.

– Attenderemo che il mare si tranquillizzi?

– Sì, signor Held. Con queste onde, uno sbarco sarebbe pericoloso. Il vento mi pare che si calmi e domani spero che anche la risacca sarà meno forte. Se credete, andremo a cercare qualche cosa da porre sotto i denti: sono ventiquattro ore che non rosico un biscotto.

– Troveremo ancora delle provviste nel quadro di poppa – disse il soldato. –Vieni, malese: conosco la nave.

Il siciliano ed Aier-Raja si diressero verso poppa e scesero nel quadro rovistando le cabine degli ufficiali. Poco dopo ritornarono recando dei biscotti, delle scatole di conserve alimentari ed alcune bottiglie di vecchio vino di Spagna che avevano trovate nella cabina del capitano.

Tutti fecero onore al pasto, malgrado le onde assalissero sempre il vascello, riversandosi in coperta. O’Paddy specialmente, che pareva di molto buon umore, divorò come un vero marinaio e bevette per quattro.

Verso il tramonto il vento, che già da qualche ora non soffiava che ad intervalli, scemò del tutto e anche le onde cominciarono ad abbassarsi sensibilmente.