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i pescatori di trepang 15


— Sono appunto quelle le olutarie, o, se ti garba meglio, i trepang che noi pescheremo.

— E sono dei migliori, capitano, disse Wan-Horn. — Ecco là i bankolungan, più in fondo i kikisan, i talipan e laggiù vedo anche i munang.

— Che i chinesi pagheranno molto cari, vecchio mio — disse il capitano. Qui vi è una vera fortuna da pescare.

— Ci spiegherete meglio cosa sono queste olutarie? chiese Hans.

— Certo, ragazzo mio, rispose il capitano. Orsù, Wan-Horn, fa scendere i pescatori.

Dieci chinesi semi-nudi, che tenevano infissi, in una larga cintura, dei lunghi coltelli leggermente ricurvi, armi necessarie in quei paraggi che sono frequentati da mostruosi pesci-cani ghiotti di carne umana non meno degli antropofaghi delle coste settentrionali dell’Australia, ad un comando del vecchio marinaio scesero nella scialuppa, recando nella mano sinistra una specie di rete, capace di contenere parecchie olutarie.

— Giù, e senza perdere tempo, disse il capitano, dopo d’aver osservata l’entrata della baia, per accertarsi dell’assenza dei pesci-cani.

I dieci pescatori, scelti fra i migliori nuotatori dell’equipaggio, balzarono in acqua con mirabile accordo.

I due giovanotti, curvi sui bordi della scialuppa, seguivano con viva curiosità le operazioni di quei valenti pescatori. L’acqua della baia, che era tranquilla e trasparente come un cristallo, permetteva a loro di distinguere nettamente quegli uomini, i quali agivano rapidamente, strappando i molluschi, che tosto cacciavano nella rete.

Ben presto il primo, che non aveva impiegato un mezzo minuto, ricomparve a galla. La sua rete, piena da scoppiare, venne tosto afferrata dal vecchio Wan-Horn, il quale la rovesciò nel fondo della scialuppa, facendo uscire una decina di olutarie.