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6 | capo i. |
obliqui, parte semi-nudi ed alcuni coperti da larghe casacche e da larghi calzoni di tela fiorata, stavano allineati lungo i bordi della nave, tenendo in mano i bracci delle manovre e le scotte, per essere pronti ad orientare le vele.
A prua invece, ritto sul castello, un uomo di alta statura, coi lineamenti energici, la pelle bruna, vestito all’europea, esaminava attentamente la costa australiana con un cannocchiale. Poteva aver quarant’anni e s’indovinava, anche a prima occhiata, che doveva essere il comandante di quell’equipaggio di chinesi. Dietro di lui due giovanotti, l’uno che non dimostrava più di sedici anni e l’altro venti, e colla pelle ancora bianca, parevano che attendessero, con una certa ansietà, il risultato di quelle minuziose osservazioni.
— Vedi nulla? chiese ad un tratto il più giovane dei due, volgendosi verso il comandante.
— No, nipote mio, rispose questi. Non vedo alcun essere vivente.
— E la baia?
— È dinanzi a noi, a due leghe, Hans.
— Sei certo di non ingannarti, zio?
— Un uomo di mare ingannarsi?... Sono venuto qui l’anno scorso a pescare il trepang e la baia non l’ho scordata.
— Ma perchè osservi così minuziosamente la costa?
— Perchè mi preme la pelle e soprattutto la vostra, nipoti miei.
— Ma cosa temi?
— Siamo in paese selvaggio, Hans. La spiaggia è deserta ora, ma potrebbe, da un istante all’altro, gremirsi di australiani.
— Odiano gli uomini bianchi, forse?
— Non fanno distinzione di razze: bianchi o neri o gialli o rossigni od olivastri, tutti sono buoni per questi mangiatori di carne umana.
— Mangiano gli uomini, questi selvaggi?
— Come noi mangiamo i polli.
— Che canaglie!...
— Hanno fame, Hans. La loro terra non produce, gli animali mancano o sono rari e si rifanno cogli uomini che l’oceano spinge sulle loro sponde.