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Un amico misterioso 203


— Il male è che dopo il fuoco giungeranno quei bricconi, — disse Pram-Li.

— Aspettatevi la loro visita, — soggiunse Tiguma.

— Saranno ricevuti degnamente, — disse Hong, avvertito delle parole del selvaggio. — Tu non hai paura, Than-Kiù?

— Sono pronta a fucilarli, — gli rispose la valorosa giovane con piglio risoluto. — La sorella del prode Hang-Tu non ha mai tremato dinanzi al pericolo.

— Silenzio, — disse in quel momento Sheu-Kin.

— Che vengano di già?... — chiese Hong.

— No: udite?... —

Dalla parte della fenditura s’era udito un legger sibilo che pareva mandato da un serpente.

Hong s’era prontamente voltato puntando il fucile.

— Chi vive? — chiese.

Lo stesso sibilo, più dolce di prima, si fece udire, poi una voce umana pronunciò una parola.

Tiguma si era slanciato innanzi, esclamando:

— Eccomi!... —

Hong aveva accesa rapidamente una torcia vegetale e si era accostato alla fessura, tenendo sempre il fucile armato.

Al di là del foro era comparsa una testa umana. Era quella d’un giovane dalla pelle molto oscura a riflessi color del mattone, dai lineamenti dolci, cogli occhi piccoli e nerissimi. I suoi capelli, lunghi, raccolti in due grosse trecce, gli cadevano lungo le gote ed erano adorni di scagliette di tartaruga e di spine di pesce.

Vedendo Tiguma, gli occhi del giovane si animarono, rilucendo come due carbonchi.

— Io sono il fanciullo rapito, — disse a Tiguma.

— Vindhit!... — esclamò l’amico dei chinesi.

— Sì, Vindhit, — rispose il giovane.

— Non t’hanno adunque ucciso i cacciatori di teste?

— Lo vedi, dal momento che sono qui a parlarti.

— E mi hai riconosciuto?...

— Sì, quantunque siano di già passati quattro anni. Ti ho veduto ieri mattina, ai primi albori, quando attraversavi il bosco in compagnia d’alcuni uomini dalla pelle gialla.

— E ti sei promesso di aiutarmi?

— Lo hai veduto.

— Conoscevi questa caverna?

— Sì, Tiguma.

— E da dove hai lanciato la freccia?...