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Un superstite della «Concha» 249


Capitolo XXXII

Un superstite della «Concha»

Il giovane isolano non si era ingannato.

L’indomani, dopo due sole ore di marcia, il drappello, superato un altro fittissimo bosco, giungeva improvvisamente sulle rive del fiume. Sulla riva opposta furono subito scorte due pesanti canoe scavate nel tronco d’un albero, legate ad un palo piantato nella sabbia e che sulla cima portava la testa disseccata d’un coccodrillo.

— Ci siamo, — disse Tiguma. — La stazione deve trovarsi dietro quegli alberi che si spingono fino sulla riva.

— Non vedo però nessuno, — disse il malese. — Che gli uomini che l’occupano abbiano abbandonata la riva?

— Non credo, — rispose Tiguma. — Se vi sono le barche, gli uomini non saranno lontani.

— Se non vengono a prenderci, non potremo arrischiare la traversata del fiume, con quei coccodrilli che sonnecchiano sui banchi.

— Forse i canottieri saranno andati alla caccia; accorreranno di certo se tu fai tuonare il fucile.

— Proviamo, — disse Pram-Li.

Alzò la carabina e la scaricò in aria.

La fragorosa detonazione si ripercosse lungamente nei boschi, destando l’eco.

Un simile colpo poteva essere udito anche a varie miglia di distanza.

Il giovane selvaggio ed i suoi compagni attesero, tenendo gli occhi fissi sulla riva opposta e dopo cinque minuti videro un uomo uscire dal bosco.

Non era un igoroto e nemmeno un mindanese della costa, avendo la pelle d’una tinta bronzina molto chiara ed i lineamenti regolari; per di più indossava una specie di maglia d’una tinta dubbia, che pareva dovesse essere stata un tempo azzurra, pantaloni bianchi, sbrindellati e rattoppati, sorretti da una fascia rossa, e sul capo portava uno di quei berretti di panno azzurro cupo, usati dai marinai di tutte le nazioni dell’Europa e dell’America.

Nello scorgere quel gruppo di persone armate di fucile e vestite quasi all’europea, quell’uomo, un giovanotto di forse vent’anni, mandò un grido di stupore, poi si precipitò verso la riva dove si arrestò, tenendo gli sguardi fissi sui chinesi, come fosse in preda a tale emozione da impedirgli d’articolar parola.