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182 Capitolo XV.


Le traverse, quantunque maneggiate con vigore straordinario, pareva che battessero un sacco di stracci. Bisognava finirla. Rokoff, inferocito per quell’ostinata resistenza, con una legnata poderosa vibratagli in mezzo al cranio, lo fece cadere, poi afferrato il coltello, con un colpo terribile gli squarciò la gola.

Il povero elefante si dibattè alcuni minuti, perdendo torrenti di sangue dall’ampia ferita e raddoppiando i suoi muggiti i quali diventavano sempre più cavernosi, poi un tremito convulso scosse l’intera massa; si raggrinzò, dondolò ancora una volta la proboscide fracassata dai colpi del cosacco, poi si rovesciò su di un fianco vomitando un ultimo getto di sangue.

— Una vittoria molto facile, come avete veduto, — disse Wassili a Rokoff, il quale contemplava con un misto di terrore e di meraviglia il gigantesco mammifero.

— Non credevo che riuscissimo ad abbatterlo, signore, — rispose il cosacco. — Ed ora, che cosa faremo di tutta questa carne?

— C’è ben poco da mangiare, — disse l’ingegnere. — Eccettuata la lingua, molto squisita, specialmente se conservata per qualche tempo nel sale, tutto il resto non vale gran cosa. La carne è oleosa e di cattivo gusto, il fegato è malsano e perfino il cuore è così duro da non potersi digerire. Potremo però ricavare da questo corpaccio millecinquecento libbre d’olio, una provvista veramente preziosa per la nostra cucina, perchè brucerà benissimo senza puzzo e senza produrre fumo.

— Ed il resto?

— S’incaricheranno gli uccelli marini di farlo sparire. Guardate, cominciano già a giungere a battaglioni: albatros, rompitori d’ossa, petrelli, procellarie, sule e perfino delle fregate.

— E mi pare che si preparino a piombarci addosso per disputarci la preda. Fortunatamente abbiamo le nostre traverse e li picchieremo per bene.

— Affrettiamoci a tagliare questa bestia e portiamo con noi del grasso, o al nostro ritorno ne troveremo ben poco. —

Fortunatamente il coltello di Rokoff, un vero bowie-knife americano regalatogli da Fedoro, era d’una solidità a tutta prova e tagliava come un rasoio.

Il cosacco nondimeno faticò non poco a intaccare la grossa pelle del mammifero. Mentre tagliava in larghe strisce la grassa cotenna, l’ingegnere la strappava, accumulandola da una parte.