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La presa della rocca 357


— Io non sono vecchia come voi, signore, nè sono mai stata una donna di mare!... —

Il barone proruppe in una risata.

— Ah!... — disse poi. — La gioventù non sa apprezzare le sublimi bellezze della natura!... Vuoi che io dia delle feste da ballo come si usa darle nel nostro paese? Non hai che da parlare e farò venire qui tutti i miei uomini e ti garantisco che balleranno, se non meglio, certo con maggiore slancio dei giovanotti aristocratici di Pietroburgo o di Mosca.

Ve ne sono anzi sette od otto che suonano magnificamente.

— Voi non mi comprenderete mai!... — gridò Wanda. — O meglio fingete di non volermi capire.

E poi chi siete voi? Con quale diritto mi tenete qui prigioniera?

— Chi sono io? Tuo padre, — rispose il barone.

— Mio padre era il comandante della Pobieda.

— Tu ti sei fissata nel cervello che io non sia tuo padre. Quale pazzia!...

— Siete voi il pazzo!... Mi rammento come fosse ieri il giorno in cui voi mi avete rapita dal palazzo di mio padre, colla scusa di proteggermi contro i nemici della mia famiglia.

— Tu hai sognato, fanciulla mia. Tu sei stata raccolta sul Mare del Nord.

— È una vostra fissazione questa.

— Tu hai il cervello debole, ma io spero che con questa grande calma che ti circonda, la tua memoria si risveglierà. Non è questione che di tempo e di cure.

— Siete voi che avete il cervello squilibrato!... — gridò Wanda, esasperata.

Il barone la guardò con occhi compassionevoli, poi, volgendosi verso Ranzoff e verso il cosacco, disse loro:

— La udite? Povera fanciulla!... —

Il Re dell’Aria e Rokoff non risposero.

— Bah!... — proseguì il barone alzandosi e mettendosi nuovamente a passeggiare. — Guarirà!... —

La giovane stava per scattare un’altra volta, ma uno sguardo imperioso di Ranzoff la calmò subito.

— Va bene, rimarremo ancora qui, — disse, alzandosi a sua volta e dirigendosi verso una delle ampie finestre dalle quali entrava una fresca brezza insieme al lontano muggire dell’oceano.