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60 Capitolo VI.


— Arrendetevi o vi uccido!...

— Chi siete voi? — chiese il capitano, riprendendo il suo sangue freddo. — Un Ainos no di certo. —

Boris, invece di rispondere, si volse verso Liwitz:

— Prendi quattro uomini ed impadronisciti della macchina, — disse. — La nave deve rimanere sotto pressione. —

Poi, fissando l’ufficiale e scoprendosi il capo colla mano sinistra, gli disse con perfetta cortesia:

— Mi avete chiesto chi sono io. Sono un vostro superiore, ex-comandante della corazzata la Pobieda, una nave ben nota alla marina russa.

— Eh via!... — esclamò l’ufficiale, facendo un gesto di disprezzo. — Tu vuoi scherzare!... Indossi ancora la lugubre divisa dei forzati.

Sgombra, canaglia!...

— Non ho mai avuto l’abitudine, capitano, di scherzare, — rispose Boris, con voce pacata.

— Tu non sei altro che un audace briccone. Sgombra o ti farò arrestare e fucilare.

— Arrestare? E da chi?

— Dai cosacchi dei penitenziari.

— A quest’ora dormono, — rispose Boris, ironicamente.

— I miei marinai però sono svegli ancora.

— Si avanzino e li fucileremo come volpi bianche. —

Il capitano alzò la sciabola urlando:

— A me, ragazzi!... Cacciamo in mare questi furfanti!... —

I marinai della cannoniera-torpediniera, a quel comando si erano slanciati attraverso il ponte, armati di scuri, di spranghe di ferro e di manovelle, le prime armi che avevano trovato sotto-mano, credendo di aver facilmente ragione di quel gruppo di disperati.

Boris, a cui nulla sfuggiva, aveva a sua volta dato un comando secco:

— Pronti! —

I sei marinai ed i galeotti, con una mossa fulminea, si erano disposti a destra ed a sinistra del comandante, puntando i fucili.

— Volete farvi fucilare? — chiese Boris. — I miei uomini sono pronti a mandarvi all’altro mondo, ragazzi, e vi assicuro che i loro fucili non hanno delle confetture nel serbatoio. —

Quelle parole avevano arrestato di colpo lo slancio dei marinai della cannoniera.