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il re della montagna 11

Erano queste quattro, grandi assai, fabbricate di mattoni cotti al sole ed argilla, con feritoie strette strette e aperture che volevan essere finestre. Sulla cima di esse s’alzavano dei merli di forma strana, attorno ai quali s’udivano squittire i falchi e gridare le aquile.

Il vecchio aspettò che un lampo rompesse le tenebre, poi si cacciò sotto una porticina bassa, chiusa da una grossa pietra. Con un colpo vigoroso spinse l’ostacolo e si trovò in un lungo corridoio, pel quale ingolfavasi il vento ululando lamentosamente.

— Che farà a quest’ora Nadir? — si chiese il vecchio. — Povero ragazzo, sarà annoiato.

Trasse da un buco scavato nella parete una piccola lampada d’argento, l’accese dopo aver battuto più volte la pietra focaia e salì una scala a chiocciola tutta malandata, coi gradini frantumati. Giunto al primo piano, si inoltrò in un secondo corridoio, dove anche qui il vento ululava o sibilava, facendo vacillare la rossa e fumosa fiamma della lampada.

Le pareti erano screpolate, le feritoie senza imposte, il mattonato rotto, le vôlte malsicure. Ad ogni tuono larghi pezzi di cemento cadevano dall’alto e tremavano le torri in siffatto modo, da temere che da un momento all'altro dovessero crollare.

Dopo una seconda gradinata non migliore della prima e dopo due altri androni fiancheggiati da deserti stanzoni, il vecchio giunse ad una porta, dalle cui fessure trapelava una vivissima luce. L’aprì senza far rumore ed entrò, fermandosi sulla soglia.

Si trovava in una grande sala sostenuta da due colonne di granito, illuminata da una grande lampada d’argento appesa al soffitto e da una catasta di legna che ardeva sopra un caminetto.

Bellissimi tappeti di Kerman, scintillanti d’oro e d’argento, coprivan le pareti, ed altri tappeti soffici, di grosso feltro, coprivano il pavimento. Nè sedie, nè divani, nè tavole si vedevano, ma vi erano invece ricchi cuscini di seta cremisi con fantastici ricami, tappeti arrotolati, scialli di kachemire di gran valore, scudi antichi e giacche a maglia, sciabole di Damasco arabescate, kandjar coll’impugnatura di diaspro e che non valevano meno di 20.000 piastre, fucili a pietra focaia incrostati di madreperla, varie pipe persiane chiamate nargul, grandi assai, alcune di cristallo ed altre di porcellana, con lunghe cannucce di cuoio, e alcuni eleganti vasetti con delle rose di China, di un bianco alabastrino. Oltre a ciò, in un angolo, fermi sopra un