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198 emilio salgari

— Sì, — diss’egli, — sono sciàh, ed un re deve essere forte. Miei prodi, a cavallo!... A cavallo!...

— Che cosa vuoi fare? — chiese Mirza spaventato.

— Raggiungere l’usurpatore, prima che si metta in salvo fra le truppe del Masenderan.

— Ma tutti non possono seguirti, Nadir.

— Mi bastano cinquecento uomini.

— Ma se lo sciàh raggiunge le truppe del Masenderan?

— Alla testa dei miei cavalieri caricherò quelle bande indisciplinate e le disperderò. Non perdiamo dei minuti preziosi, Mirza.

Il vecchio si rivolse verso il khan dei Curdi:

— Di quanti cavalieri disponi? — gli chiese.

— Di quattrocento — rispose il khan.

— Tutti valorosi?

— Di provato coraggio, sadri-azem.

— E tu quanti cavalieri puoi fornire? — chiese volgendosi verso il capo delle tribù militari.

— Trecento.

— Ed io cinquecento — disse il khan dei Kadjars.

— Andate a radunarli alla porta d’oriente.

I khan uscirono in fretta per eseguire gli ordini.

— Harum — disse Mirza. — I nostri montanari sono pure abili cavalieri. Discendi nelle scuderie reali e fa montare dai nostri fidi amici quanti cavalli trovi.

— Conta su di me, Mirza — rispose il montanaro.

— Andiamo, Nadir — riprese il vecchio. — Tutto non è perduto, figliuol mio, e la tua Fathima la ritroveremo. Le truppe del Masenderan non devono essere numerose e non resisteranno alla carica di milleduecento o milletrecento cavalieri, già inebbriati dalla vittoria. Teheran ormai è in nostra mano, e quando le altre città apprenderanno che la capitale ha abbracciato la tua causa, inalbereranno la tua bandiera.

— Povera Fathima! — sospirò il giovanotto.

— La salveremo, Nadir, vieni.

Dieci minuti dopo, il giovane sciàh, seguito da cento cacciatori del Demavend che montavano i veloci cavalli dell’usurpatore, attraversava di galoppo la città fra una folla plaudente che urlava:

— Viva Nadir sciàh!...