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capitolo xiii. — un terribile combattimento. 113

le onde che balzavano muggendo sul ponte delle due navi, fra lo sfracellarsi delle murate e dei legnami, s’impegnò una lotta furiosa, terribile.

I due equipaggi, risoluti a sterminarsi piuttosto che arrendersi, si battevano col furore della disperazione, sciabolandosi, massacrandosi a colpi di scure, di sbarre di ferro, di manovelle, coi calci delle carabine e colle punte delle baionette.

Nunez fin dal primo urto era scomparso fra l’onda dei combattenti e più non si udiva la sua voce, come non si udiva più quella del capitano inglese. Il signor di Chivry però era ancora vivo e si batteva come un leone nel più folto della mischia.

Ad un tratto però fu veduto uscire da quel gruppo d’uomini e trascinarsi penosamente da un lato, comprimendosi il petto con una mano.

Facendo uno sforzo violento, tentò di rialzare la sciabola insanguinata fino all’elsa e di ritornare alla pugna; ma le forze gli vennero improvvisamente meno e stramazzò pesantemente sul ponte dell’Albatros, mentre si udiva ancora la tuonante voce di Mumbai che gridava:

— Su, marinai! Addosso a questi furfanti! Viva l’Albatros! —

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Quando il barone tornò in sè, spuntava l’alba.

Stupito di non udire più lo scoppio dei fucili e delle pistole, le urla feroci dei combattenti, i gemiti dei feriti, i rantoli dei moribondi e la voce tuonante del gigantesco Mumbai, si sollevò penosamente, girando lo sguardo semispento sul ponte della nave.

La goletta era scomparsa, e in sua vece galleggiavano sulle onde spumanti pezzi di fasciame, imbarcazioni rovesciate, pennoni, vele e rottami di ogni specie, e la coperta dell’Albatros era coperta di morti orrendamente mutilati, ancora strettamente abbracciati come se nelle ultime convulsioni dell’agonia avessero cercato di strangolarsi o di lacerarsi coi denti.

Rivi di sangue correvano in tutte le direzioni, sfuggendo attraverso agli ombrinali e le spaccature delle murate.