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146 parte ii. — la grande prateria degli apaches.

— Un urlo!... — esclamò la guida, che aveva raccolto una scure. – Questo non è il vento, carramba!...

— No, non è il vento, — confermarono i mulattieri.

— Ma chi supponete che l’abbia emesso? — chiese il marchese.

— Non lo so, ma io giurerei che è uscito dalla gola d’una fiera.

— Che vi sia qualche lupo?

— Od un orso? — disse Sanchez.

— È impossibile, Sanchez! Abbiamo visitata la caverna da una estremità all’altra, e nulla abbiamo veduto, — disse il marchese.

In quell’istante, in fondo alla caverna si udirono dei grugniti che pareva si avvicinassero. Non vi era più da dubitare; degli animali si trovavano nell’antro e forse stavano per assalire gli avventurieri.

— Prendete i fucili, — disse il messicano, raccogliendo un tizzone ardente. — Sono curioso di sapere, con quale bestia noi abbiamo da fare. —

Impugnando colla destra la scure, arma formidabile in sua mano, s’avanzò verso il fondo della caverna seguìto dal marchese, da Gaspardo e dagli arrieros, che avevano montati i fucili.

— Non vedo nulla, — disse il messicano, alzando il tizzone per illuminare meglio le pareti. — Che mistero è questo? Eppure non siamo sordi!

— Che l’animale sia nascosto nella galleria? — chiese il marchese.

— Andiamo a vedere, señor. —

S’avvicinò alla stretta apertura che si prolungava nei fianchi della montagna, e s’inoltrò in quella specie di corridoio tenendosi curvo, essendo la vôlta tanto bassa da non permettergli di star ritto. Gaspardo aveva fatto pochi passi, quando udì dei sordi brontolii e vide dinanzi a sè degli occhi, che brillavano fra le tenebre.

Carramba! — esclamò, arrestandosi bruscamente. — Quali belve si nascondono qui? Che sia il covo di qualche orso?...

— Volete la mia carabina? — chiese il marchese che gli stava dietro.

— Aspettate un po’ che osservi meglio. —