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152 parte ii. — la grande prateria degli apaches.

si era ritirato, e si udiva urlare in modo spaventoso, errando per la gola della Sierra. Pareva che volesse affrettare la marcia dei compagni, che forse, in quel momento, stavano arrampicandosi sui dirupati fianchi delle montagne.

— Se potessi farlo tacere... — disse il messicano che cercava di scoprirlo, guardando attraverso alle fessure. — Quel maledetto chiamerà a raccolta gli altri orsi.

— Lo scorgete? — chiese il marchese.

— No, si tiene lontano da noi.

— Che sia ferito gravemente?

— Eh! Sono animali che hanno la pelle assai dura ed uno strato di lardo che devia facilmente le palle. Talvolta non bastano quattro o cinque colpi di fucile per atterrarli.

— Rimuoviamo i sassi ed affrontiamolo prima che giungano i suoi compagni.

— Bell’idea, marchese, purchè gli altri non ci sorprendano!

— Bisogna tentare, — rispose Mendoza.

Il messicano afferrò alcuni macigni e li gettò nella caverna, aprendosi un passaggio appena sufficiente da permettere ad un uomo di uscire. Si munì del suo rifle, e strisciò coraggiosamente all’aperto, seguìto dal marchese e da Gaspardo.

Nonostante che la notte fosse oscurissima e la neve si sollevasse come una cortina immensa sotto i soffi impetuosi del vento, scorsero l’orso semi-coricato in mezzo alla gola. Volgeva il capo verso l’uscita di levante e urlava con quanta forza aveva, per richiamare l’attenzione degli altri.

Sanchez e i due brasiliani puntarono le armi, prendendolo di mira e fecero fuoco simultaneamente. La nube di fumo erasi appena diradata, che videro apparire in fondo alla gola sei enormi masse nere, che si avanzavano correndo.

— Presto, alla caverna! — gridò il messicano.

Senza guardare se l’animale mirato era caduto od era ancora in piedi, superarono rapidamente la barricata e si precipitarono nella caverna, mentre i mulattieri si affrettavano a turarne l’apertura.

Era tempo! Gli orsi grugnendo e urlando, assalivano allora il