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capitolo ii. — la costa brasiliana. 13

che indossavano, ma che avevano certe fisonomie particolari da rassicurare poco. Due erano bianchi, gli altri quattro erano meticci, uomini di potente muscolatura, e dotati di un’agilità e di una vivacità straordinaria.

Vedendo giungere il signor di Chivry, lo salutarono fissandolo in volto.

— Siamo pronti? — chiese il francese.

— La macchina è sotto pressione, — rispose uno dei due bianchi, che pareva il capo.

— Le mie armi?

— Sono a bordo, rinchiuse nella cassa della Eccellenza Vostra.

— I viveri?

— Sono stati imbarcati fino da ieri sera.

— Partiamo. —

Balzò nella scialuppa, si sedette a poppa prendendo la barra del timone, poi disse:

— Avanti, e a tutto vapore. —

I meticci allontanarono la scialuppa con una scossa vigorosa, l’elica si mise in movimento mordendo furiosamente l’acqua, e i sette uomini furono trasportati attraverso alla baia, in una rapida corsa.

Il signor di Chivry spinse dapprima la scialuppa verso l’isola dei Cobras, per evitare la triplice fila di velieri e di vapori che si estendeva dinanzi ai docks, poi virò di bordo, mettendo la prua fra le due penisole che chiudono l’ampia baia, alle cui estremità si vedevano giganteggiare i forti di San Joao e di Santa Cruz.

In quindici o venti minuti superò il passo, lasciò a tribordo l’isola Tucinha e la rapida imbarcazione si slanciò muggendo e fischiando sulle acque dell’Oceano Atlantico, tagliando coll’acuto sperone le lunghe ondate che venivano dal largo, e lasciandosi a poppa una scia spumeggiante che si perdeva in lontananza.

— La rotta? — chiese il capo dell’equipaggio, avvicinandosi al francese col berretto in mano.

— L’imboccatura del Rio Grande del Sud.

— Si va laggiù, signore?

— Sì, signor Juvencio de Aguiar, — rispose seccamente il signor di Chivry.