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capitolo xii. — il tradimento. | 219 |
allora con affettata indifferenza, trasalì; ma riprese subito la sua impassibilità.
— Mio fratello viso-pallido, — disse dopo qualche istante, — intende parlare d’un capo bianco?
— Sì, Sackem, — disse Sanchez, mentre il marchese, per meglio ascoltare, non respirava quasi più.
— Il capo Grand’Aquila era mio amico, ma è morto da lungo tempo.
— Morto! — esclamarono Sanchez ed il marchese impallidendo.
— Morto, — ripetè il capo.
— Allora mio fratello rosso, — riprese Sanchez, — mi dirà se vive l’altro capo bianco, qui venuto molti anni or sono, quando era giovane ancora.
Il Sackem non rispose. Egli guardava fissamente il marchese che impallidiva a vista d’occhio, e che era in preda ad una viva agitazione. La risposta del capo era tutto: o realizzava o si spegneva per sempre la speranza di ritrovare Almeida.
— Parla, Sackem, — disse Sanchez, che vedeva il marchese tremare.
— Mio fratello bianco, intende di parlare del Re della prateria, l’erede del capo Grand’Aquila? — chiese l’indiano.
— Sì, — disse Sanchez, dopo aver tradotto al marchese le parole del Saltatore.
— E che vuole dal grande capo bianco il mio fratello viso-pallido?
— Vederlo.
— Ed il motivo?
— È il nipote di quest’uomo, di questo Sackem dei paesi del sud.
— Hug!, — esclamò l’indiano. — E chi mi assicura che la tua lingua non mentisce? I visi-pallidi odiano il Re della prateria, perchè è un bianco al pari di loro e comanda gli uomini rossi della valle Tuneka.
— Ma è mio nipote! — esclamò il marchese, scoppiando in singhiozzi.
Il Saltatore gettò sul marchese uno sguardo corrucciato, e vedendo quell’uomo piangere, disse con accento sprezzante: