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capitolo vi. — il gulf-stream. 47

ropa, la Gran Bretagna, la Scozia, l’Irlanda, la Norvegia, e si perde nei paraggi delle isole Spitzberg, dopo aver percorso oltre mille leghe.

Appena uscito dal Golfo, ha una larghezza di quattordici leghe, una profondità di mille piedi e una rapidità di otto chilometri all’ora; ma questa di mano in mano scema avvicinandosi alle coste europee.

Il signor di Chivry che stava quasi tutto il giorno in coperta, udendo annunciare la vicinanza della corrente equatoriale, era salito sul castello di prua per meglio osservarla, accompagnato dal capitano Nunez che aveva dato l’ordine di dirigere l’Albatros nel bel mezzo di quello strano fiume, avente per letto e per sponde l’Oceano, e della cui velocità intendeva giovarsi per giungere più rapidamente all’arcipelago delle Antille.

— La vedete? — chiese al barone.

— Perfettamente, — rispose di Chivry. — Le sue acque spiccano nettamente su quelle dell’Oceano, che ora mi sembrano più sbiadite.

— È di una non piccola efficacia per le navi che vanno nel Golfo del Messico. Mi giovo sempre di questa corrente quando lascio le coste dell’Africa per venire al Brasile o per andarmene a Cuba.

— Lo credo. Quale velocità può avere?

— Presso il capo di Buona Speranza percorre circa quattro chilometri per ora, ma poi perde la sua velocità di mano in mano che s’inoltra nell’Atlantico, e la riprende più rapida nel Golfo del Messico.

— Ma allora la corrente si chiama Gulf-Stream.

— Sì, signor di Chivry.

— E da cosa credete voi che derivi questa grande corrente?

— Da un intero sistema di movimenti oceanici determinati da una ragione facilissima.

— Non vi comprendo, capitano.

— Mi spiego, signor di Chivry. Un tempo si credeva che le correnti, e specialmente il Gulf-Stream, fossero causate dalle correnti dei fiumi. Si diceva, per esempio, che quella del Messico era prodotta dalle acque del Mississippi a causa della loro forza, supposizione questa molto barocca, poichè non si può ammettere che un fiume