Pagina:Salgari - Il tesoro del presidente del Paraguay.djvu/151

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Il pallone, liberatosi da quel peso ragguardevole, fece un immenso salto nell’aria e, trovata una corrente contraria, fuggì verso il nord, inseguito dalla maggior parte dei cavalieri, che non volevano perdere la luna.

Il capo patagone, balzato rapidamente d’arcione, si slanciò in mezzo ai cespugli, esclamando:

— O padre! O gran padre!

Il preteso figlio della luna, dopo quel magnifico capitombolo, si era lestamente rialzato, impugnando un paio di pistole, che tosto diresse contro il capo, dicendo con voce secca e minacciosa:

— Vieni da amico, o da nemico?

Il capo, che non si aspettava certamente quella accoglienza da un uomo che scendeva dal cielo, si fermò stupefatto, guardando con occhio triste e quasi indignato lo straniero.

— Perchè minacciare il capo dei buoni Tehulls, che chiedono la tua amicizia, o figlio della luna? — chiese il capo con dolore. — Forse che tu hai da temere qualche pericolo da noi?

— È vero, — rispose lo straniero con un sorriso strano: — io sono il figlio della luna, che visita i buoni figli della prateria.

Poi il signor Calderon, l’agente del Governo, l’uomo che aveva accompagnato il mastro e Cardozo nella pericolosa spedizione, poichè era lui in carne ed in ossa, si passò tranquillamente le pistole nella cintura e incrociò le braccia, guardando fissamente il capo patagone, come se volesse leggergli in fondo all’anima.

— Il figlio della luna si degna di accettare l’ospitalità che gli offre il capo dei Tehulls? — chiese il patagone dopo un breve silenzio.

— Ti seguo, — rispose il signor Calderon.

Il gigante indiano uscì dalla macchia, seguìto a breve distanza dall’agente del Governo, che non aveva perduto una briciola della sua consueta calma, quantunque la sua situazione potesse da un momento all’altro diventare pericolosa, e si diressero verso l’accampamento, mentre i guerrieri che