Pagina:Salgari - Il tesoro del presidente del Paraguay.djvu/178

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Poi, guardando bene in viso Cardozo:

— Hai paura dei giaguari?

— Nemmeno di un elefante, quando sono con te, — rispose senza esitare il bravo ragazzo.

— Allora ce la caveremo a dispetto dell’agente. Figliuol mio, andiamo a dormire.

Ritornarono nella loro tenda, si avvolsero nuovamente nelle coperte e si riaddormentarono tranquillamente, come se nulla fosse loro toccato.

Il loro sonno fu però di breve durata, poiché furono vegliati da una brusca scossa. Un patagone era entrato sotto la tenda portando con sé i due fucili promessi dall’agente del Governo.

Diego e Cardozo ricevettero con vera gioia le loro fedeli carabine, che ormai credevano per sempre perdute, nonché alcuni pacchi di cartucce, che i Patagoni avevano conservati con grande cura, a quanto pareva.

— Seguitemi, — disse il patagone. — L’alba sta per sorgere.

— Andiamo, — disse Cardozo. — Sono impaziente di cacciare questo signor giaguaro, che tiene fra le sue zanne la nostra pelle.

— Lo uccideremo, figliuol mio, — disse il mastro, che caricava attentamente la carabina: — te lo assicuro. Me ne intendo io di queste cacce.

Uscirono dalla tenda e seguirono la loro guida, che li condusse all’altra estremità del campo, che si prolungava verso il fiume. Quantunque il sole non fosse ancora alzato, alcune donne erano già in piedi, occupate a pettinarsi con certe grosse spazzole, operazione che curano assai, avendo la precauzione di gettare prontamente nel fuoco i capelli caduti, per tema che un nemico li prenda e se ne serva per gettare contro le proprietarie dei malefizi, essendo tale la credenza; anche alcuni uomini vegliavano qua e là, agli angoli del campo, passando il tempo a giuocare con certe carte di cuoio che chiamano bersen, o ai dadi, giuoco questo importato dagli spagnoli.