Pagina:Salgari - Il tesoro del presidente del Paraguay.djvu/247

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— Sarà il primo a cadere; se si mostra.

— Vedi l’agente?

— È al suo posto.

— È necessario che venga in nostro aiuto. Signor Calderon!

L’agente del Governo, che aveva compreso quanto fosse disperata la posizione dei compagni, invece di rispondere, lasciò il posto e si avvicinò all’entrata della cinta.

— Sono con voi, — disse colla sua solita calma.

— Avete udito nessun galoppo verso il nord?

— Nessuno.

— Ah! Se Ramon potesse udire le nostre fucilate!

— Sarà lontano assai, — disse Cardozo.

— Confidiamo in Dio. Ognuno a posto, e tenetevi pronti a tutto, anche a fuggire se non potremo più resistere.

— Eccoli! — disse Cardozo.

I Patagoni erano appena a cinquanta passi. Si radunarono strettamente, forse per incoraggiarsi vicendevolmente o forse per essere più pronti a irrompere nella cinta dalla stretta apertura, poi si scagliarono innanzi, gettando il loro grido di guerra.

Quattro spari si udirono a breve distanza l’uno dall’altro e tre uomini scomparvero fra le alte erbe, senza dubbio colpiti dalle palle degli assediati. I loro compagni, niente atterriti da quella accoglienza micidiale, continuarono la corsa, incoraggiandosi a vicenda con vociferazioni spaventevoli, e si slanciarono all’assalto con furia incredibile.

Diego, Cardozo e Calderon, malgrado si vedessero ormai perduti, non si perdettero di animo. Radunatisi dinanzi all’entrata della cinta, che non permetteva il passaggio a più di due uomini e che era semi-ingombrata dal cadavere del cavallo, fecero intrepidamente fronte all’attacco.

Scaricate un’ultima volta le armi, che fecero altre quattro vittime, impugnarono le carabine per la canna, menando per ogni dove colpi disperati, mentre l’agente del Governo, che conservava anche in quel terribile frangente una ammirabile calma, caricava e scaricava senza posa le sue pistole.