Pagina:Salgari - Il tesoro del presidente del Paraguay.djvu/263

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Montati su robuste mule, dalle unghie di acciaio e dal piede sicuro e guidate da un catapaz che doveva portarsi alla costa, attraversarono, per mezzo di sentieri noti solamente agli agili guanachi e agli Araucani, la gran catena delle Ande, e il giorno appresso giungevano negli altipiani inferiori, facendo una breve fermata a Santa Barbara.

Colà, fatto acquisto di cavalli, proseguirono verso l’ovest, toccando Nacimento, e finalmente giungevano in vista di Nuova Concezione, o come la chiamano gli Araucani nella loro lingua, Penco.

— Finalmente! — esclamò il mastro, respirando a pieni polmoni l’aria che veniva dal mare, che scintillava all’orizzonte. — Ora possiamo chiamarci proprio salvi.

— Lo credo, — rispose Cardozo, che animava il cavallo a colpi di scudiscio, impaziente di entrare in città. — Era tempo che ci trovassimo in un paese incivilito, dopo essere stati per tante settimane fra i selvaggi della grande prateria.

— I tuoi milioni li porti sempre?

— Non li ho mai toccati, — rispose il ragazzo. — Sono sempre qui, nella cintura nascosta sotto la camicia.

— Ed io ho i miei. Il Presidente può chiamarsi fortunato di riavere questo tesoro, che forse crede perduto in fondo al mare.

— Forse ci conta ancora, marinaio. Il capitano Candell e qualche uomo del suo equipaggio possono essersi salvati.

— Dio lo volesse, ragazzo mio! — disse il mastro con voce commossa. — Mi rincrescerebbe immensamente la morte del nostro eroico comandante.

— Alto! — disse in quell’istante l’agente del Governo, fermandosi dinanzi ad una trattoria situata a mezzo chilometro dalla città.

— Non entriamo in città? — chiese Cardozo. — Abbiamo dato l’appuntamento a Ramon al Consolato.

— Eppoi dobbiamo intenderci col console per sapere dove ritroveremo il nostro amato Presidente.

— Spero che non vorrete presentarvi con questi costumi stracciati, che puzzano di selvaggi, — disse l’agente del Governo.