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— Ma in qual modo, che siamo rinchiusi?
— Fuggiremo.
— Per dove?
— Non lo so; ma fuggiremo, te l’assicuro.
— Bisogna fuggire, sì, bisogna uscire a qualunque costo di qui prima che la fame ci tolga le forze.
— All’opera, ragazzo mio. Siamo ancora forti e non del tutto inermi.
— Cosa dobbiamo fare?
— Prima di tutto barrichiamo la porta, — disse il mastro. — Non dobbiamo farci sorprendere nel più bello delle nostre operazioni.
Nella stanza si trovavano per buona fortuna diversi pesanti mobili: una specie di libreria, due grandi tavoli, un pesante cassettone e diverse poltrone e sedie. I due marinai, radunando le loro forze, accumularono tutta quella mobilia contro la porta, formando una barricata tale da sfidare l’urto più potente e da opporre una lunga resistenza alle palle di fucile e di revolver.
— Ora, — disse il mastro quand’ebbero terminato, — esaminiamo la nostra prigione.
— Ah! marinajo! — esclamò Cardozo.
— Cosa c’è ancora? — chiese il mastro.
— Stiamo per essere liberi.
— Sei impazzito, figliuol mio?
— Guarda là.
— Un caminetto!
— Forse possiamo uscire di là.
— Ventre di balena!
— Guardiamo, marinajo.
Presero una candela e si avvicinarono al caminetto, che occupava la parete situata di fronte alla porta d’ingresso. Cardozo esaminò la canna e la trovò tanto larga da permettere la salita ad un uomo di grossezza media.
— Siamo salvi, — disse.
— Dio sia ringraziato! — esclamò il mastro. — È assai alta la canna?