Pagina:Salgari - Il treno volante.djvu/102

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Un buon bicchiere di ginepro lo rimise presto dall’emozione provata.

Il Germania, dopo aver raggiunto i trecento metri, aveva ripresa la sua corsa, passando sopra foltissime foreste.

Aveva lasciato l’Usghera e si avanzava attraverso l’Usagara, uno dei più vasti distretti della costa orientale africana ed anche dei più lussureggianti, quantunque poco abitato.

Gli aeronauti da quell’altezza poterono scorgere verso il sud il Muscendo, uno dei fiumi più importanti della regione e anche alcuni villaggi perduti sui fianchi di una catena di monti.

Nondimento il paese che stavano attraversando pareva deserto non scorgendosi alcuna capanna, nè alcun campo coltivato dalla mano dell’uòmo.

A mezzodì, mentre stavano per far colazione, il Germania superava alcune catene di colline pochissimo alte e assai boscose e scendeva nelle vaste pianure erbose che occupano gran parte dell’Usagara.

In mezzo a quelle opulente praterie, interrotte solo da pochi gruppi di banani e di sicomori, si vedevano apparire moltissimi animali.

Truppe di zebre fuggivano caracollando in mezzo alle erbe e bande di giraffe galoppavano disordinatamente. Non mancavano le antilopi e nemmeno i bufali, animali terribili questi, che non temono i cacciatori, molto più vigorosi dei nostri tori e con la testa armata di corna tremende.

Nel veder passare tanti animali, il tedesco si animava e non poteva trattenersi dallo sparare qualche colpo di fucile dietro alla fuggente selvaggina, con poco successo tuttavia, in causa della rapidità del treno aereo.

— Questo è il paradiso dei cacciatori! — esclamava. — Questa sera ci fermeremo in qualche buon luogo e ci sfogheremo.

— Dovremo fermarci presso qualche fiume — disse l’arabo.

— Dopo il tramonto la selvaggina non si può scovare che dove c’è dell’acqua.